Racconto di Leonardo
“! ettonazzam id amirp il òras ehc orucissa it…”
Questa fu la strana frase che la tipa diceva mentre saliva in macchina. La vidi pochi istanti prima, telefonava e si agitava, con aria preoccupata guardava l’ora. Erano le 22:30 ed era anche il 31 dicembre 1999. Una ragazza un po’ fuori moda nel suo abbigliamento per l’età che dimostrava, venticinque o trent’anni al massimo.
“orucissa it…orucissa it” …e chiuse la comunicazione.
“Presto mi porti alla Malperzius…”
“Scusi, dove ha detto? La Malpensa vorrà dire…”
“Nooo !!! Malperzius… M-A-L-P-E-R-Z-I-U-S ! Sa dovè vero? Lo sanno anche i morti!
“OH, COME NO. SO ANCHE DOV’È LA CASA DI BIANCANEVE E I SETTE NANI E QUELLA DI CENERENTOLA!!!
Risposi seccamente. La giovane si rese conto di essere stata molto scontrosa e corse ai ripari.“ Mi scusi tanto, mi rendo conto di essere stata una gran villana e la prego di accettare le mie scuse… non so cosa mi sia preso”.Lo disse con un portamento così sincero che non potei non crederle o serbarle rancore.
“Devo essere alla Malperzius entro mezzanotte, altrimenti…”
“Se mi spiega COSA È o DOVE È forse potremo…”
“Ha ragione. In effetti il posto è vicino a Malpensa, si tratta di una tenuta privata che si chiama Malperzius e dentro c’è l’omonima villa. Vede, è stata recentemente restaurata… lo hanno scritto anche i giornali, e questa è una gran serata di gala… a mezzanotte però chiudono gli accessi e chi resta fuori non potrà più entrare in nessun modo”.
Sarà, ma io quella notizia sui giornali non la ricordavo proprio, né ricordo di avere visto nei paraggi delle indicazioni che segnalassero la presenza di quel posto. Il mio proposito di smontare dal turno e andare a passare San Silvestro in famiglia, stava sfumando minuto dopo minuto.
“Ce la faremo signorina, ce la faremo, ci saremo prima di mezzanotte…. Ma mi tolga una curiosità, che lingua parlava al telefono? Noto che ha un leggero accento straniero, ma… non sono riuscito a…”
“oh… ehm… Io sono nata negli Stati Uniti, per la precisione a Baton Rouge, in Louisiana…”
“ma è un nome francese!”
“Infatti, le origini sono molto antiche, risalgono al periodi della colonizzazione francese, tra il 1600 e il 1700. I miei avi sono originari di Brest in Bretagna. Buona parte di loro si è trasferita oltreoceano per cercare fortuna. Io sono una Malperzius, proprio come loro!”
“Ah! Ma allora sta andando a casa sua!”
“Si, DEVO andarci…”
“Però non mi ha ancora detto che lingua parlava, mi è sembrato che non ci tenesse a …”
“oh no, si figuri! E’ un dialetto-non-dialetto che usava mio padre-anche lui bretone- con me per non fare capire nulla a mamma e farla arrabbiare. Mia madre era americana e di quel dialetto astruso non ha mai voluto imparare nemmeno una consonante. Riuscì a convincere mio padre a battezzarmi con il nome di Marion, contrariamente a Yanna, quello che lui avrebbe voluto darmi.”
“Beh, io sono semplicemente Marcello e nessuno ha mai litigato per cambiarmelo!”
A tutti e due scappò una risatina. Strada facendo Marion accese la luce della plafoniera per cercare qualche cosa nella sua borsetta e distrattamente la dimenticò accesa. Aveva un viso pulito, senza trucco, forse solo un poco di rossetto sulle labbra. I neri capelli erano ben raccolti in una acconciature non più alla moda. Gli spot della plafoniera la illuminavano in modo poco uniforme e creavano ombre sul suo viso che le imprimevano toni ed espressioni misteriose. Era particolarmente pallida con leggere occhiaie che tuttavia non stonavano, la pelle abbastanza trasparente da far notare alcune vene azzurrognole sulle tempie. Passarono circa quindici minuti quando passammo in piazza del Cimitero Monumentale. Mi chiese con aria interessatissima:
“Oooh, che bella costruzione, è per caso una chiesa, un monastero?”
“Oh no no, Marion, niente di tutto ciò, è un cimitero, è quello dei ricchi”
Nello specchietto vidi la sua espressione, ma non era quella che mi aspettavo: ebbe un sussulto, un rapido sbattere di ciglia e impallidì – se possibile – ancora di più. Fu come presa da un brivido improvviso dal quale si ricompose molto in fretta. Non disse nulla e io non dissi nulla, per un certo lasso di tempo rimanemmo zitti, mentre non cessavo mai di guardarla nello specchietto. Lei per tutto quel tempo, assorta in un mare di pensieri impenetrabili, non incrociò mai il mio sguardo. Ancora dieci minuti o poco più e saremmo arrivati in zona, fu lei a interrompere il silenzio:
“Marcello, hai visto questa notte quante stelle in cielo? Una luna così non l’ho mai vista da quando sono qui. Domani non sarò più qui, stanotte scade il mio contratto”
“Contratto? Sei in Italia con un contratto di lavoro e domani devi andare da qualche altra parte?”
“Più o meno … è un contratto che è durato un anno e domani andrò….andrò via…da qualche altra parte!”
L’ultima frase si contrappose ad un profondo sospiro. Lei abbassò un attimo gli occhi mi guardò per un istante, poi si ricompose.
“Ecco guarda! Imbocca la seconda traversa a destra e poi prendi il primo viale a sinistra…”
Seguii le sue indicazioni fino ad imboccare una stradina che attraversava una vegetazione insolitamente fitta e rigogliosa per essere in dicembre. L’aria era tersa e non c’era traccia di nebbia, la luce della luna piena faticava a insinuarsi nei meandri del bosco.
“Non temere Marcello, va tutto bene; fra trecento metri imboccheremo il portone della tenuta”.
E così fu. Poco più avanti troneggiava l’antico portale di Malperzius, il nome risaltava con lettere dorate su una piastra di ardesia nerissima, murata su un trave. Attraversai il ciottolato e dopo una breve curva mi trovai di fronte all’imponente sagoma della luminosa e fastosa Villa Malperzius, una visione davvero mozzafiato. Erano le 23:30 e Marion poteva così entrare senza più patemi d’animo (chissà perché poi dopo mezzanotte la villa sarebbe diventa inaccessibile? Anche per lei, una Malperzius!). Mi pagò e mi lanciò uno sguardo malinconico prima di varcare la soglia. Poco prima di entrare, si voltò per l’ultima volta sussurrandomi …
“Ciao Marcello, il mio contratto sta per scadere…” e mi salutò con la mano.
Guardai l’ora, mancavano quindici minuti a mezzanotte. Mi diressi verso la strada principale facendo a ritroso lo stesso percorso dell’andata. Mi stavo già rassegnando a salutare l’anno 2000 in taxi mentre tornavo a casa brindando con me stesso con la bottiglietta di minerale che tenevo nel portaoggetti . Già che ci sono – pensai – posso tagliare giù per Malpensa, chissà, magari trovo un disperato bisognoso di un taxi al volo per Milano… è la solita favola che il tassista si inventa in simili circostanze e che non ha mai un lieto fine.
Le potenti luci dell’aeroporto illuminavano le piste e i piazzali, dove c’era il solo viavai del personale di servizio e niente clienti last-minute a sbracciarsi… per cui, fine della favola… o forse no! Un semplice particolare mi fece presagire che la favola sarebbe continuata, anche se in direzione diversa da Milano. Le luci erano così potenti che illuminavano abbastanza bene anche l’abitacolo del mio taxi, quanto bastava per scorgere con un breve colpo d’occhio, che c’era qualcosa sul sedile posteriore. Mi voltai del tutto e vidi una piccola borsetta di tessuto tutta ricamata. Marion, tutta rapita dai suoi pensieri e la sua improvvisa tristezza, l’aveva dimenticata. Pensai che fosse un fatto molto insolito, perche una donna non dimentica mai la sua borsetta da nessuna parte. Decisi con un sospiro di rassegnazione di tornare a Villa Malperzius e riportargliela; forse mi avrebbe anche dato qualcosa per il disturbo o forse no… poco importa.
Fine Prima Parte. – (leggi la seconda parte)
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Foto: Jean Harlow, attrice americana degli anni trenta. Morì a soli 26 anni.