Ogni tanto hanno ragione…

…anche i giornalisti. Effettivamente non  avevo pensato a questo risvolto: i tassisti newyorkesi sono tanti, tanti, e diversi, diversi, così tanti e diversi che non è possibile un controllo accurato su chi siano e da dove vengano e, soprattutto, che intenzioni abbiano sotto lo sguardo di sottecchi che rifilano al cliente.

È dalla sera dell’11 settembre 2001 che gli americani, i newyorchesi in particolare, si addormentano cullando un incubo: quello di un attentato psicologicamente anche più devastante delle Torri in fiamme perché più subdolo, più maligno: una bomba nel metrò.
Quanto alla faccia di chi ce l’avrebbe messa, i newyorchesi non hanno mai avuto dubbi. Ogni volta che sono saliti su un taxi – e ci sono saliti, il più delle volte, per la dannata paura di finire nel metrò sbagliato il giorno sbagliato – hanno guardato i capelli raccolti nel turbante del sikh alla guida, o del pachistano, o dell’afghano (il taxi a New York sono loro a guidarlo, nel 95 per cento dei casi), e si sono detti: ecco, sarà uno di questi: arrivano da non si sa dove, affittano un cab, visto che qui non è mica come in Italia, per dirne una, dove la licenza di tassista si acquista, e ci vogliono un sacco di soldi, e per fare il tassista devi avere un permesso che in America non è necessario; insomma, siccome New York non è Milano, questi signori spuntano dal nulla come funghi; mettono su una faccia triste da rifugiato, da sfigato costretto a lasciare il paesello nel Punjab o nel Balucistan, e battono la città di giorno e di notte imparandone trucchi e misteri, vicoli ciechi e scorciatoie, registrando il pulsare della vita metropolitana e tessendo una rete di intelligence fitta come quella del ragno.
Sicché, quando ieri hanno sentito alla tele che l’Fbi aveva beccato un tassista afghano che progettava un attentato nel metrò si sono detti, autosfottendosi con un sorriso amaro: «Be’, dov’è la notizia?»

Zarein Ahmedzay e Najbullah Zazi. Il primo tassista, l’altro guidatore di navetta in un aeroporto del Colorado. La bomba nel metrò avrebbero dovuto metterla sul finire della scorsa estate, nel periodo del Ramadan, immolandosi come i loro confratelli nel metrò di Londra nel giugno di 5 anni fa, dove i morti furono 52. Sarebbe stato l’attacco più grave all’America dall’11 settembre, ma qualcosa è andato storto. Per i terroristi, beninteso. Forse una soffiata, forse la milionesima intercettazione giusta; forse semplicemente la fortuna. Forse solo un passo falso di Zazi, intercettato su un’auto noleggiata mentre raggiungeva New York da Denver con l’esplosivo che sarebbe servito per confezionare la bomba.

Ahmedzay, 24 anni, ha raccontato ai giudici che lui, Zazi e un altro loro amico dei tempi del liceo, Adis Medunjanin, avevano incontrato due leader di Al Qaida alla frontiera tra Pakistan e Afghanistan nell’agosto 2008 e da questi avevano ricevuto l’ordine di procedere con gli attacchi. Secondo gli investigatori federali, i due leader di Al Qaida erano Saleh Al Somali, il responsabile delle operazioni internazionali, e Rashid Rauf, alla guida della logistica dell’organizzazione terroristica. Entrambi già nel Pantheon di Al Qaida, morti in Pakistan nel corso di due distinti attacchi missilistici americani nel novembre e dicembre dello scorso anno. I due aspiranti kamikaze avrebbero incontrato anche un terzo esponente di rilievo di Al Qaida in un campo di addestramento in Waziristan, nel Nord del Pakistan, ma quest’ultimo non è stato identificato. Forse è stato lui, il «mister X» che ancora manca all’appello, a convincere i due a tornare in America. «Tornate a New York – aveva detto il capataz di Al Qaida dando la sua benedizione ai due aspiranti martiri -; lì sarete più utili alla causa. L’ordine ricevuto, ha confessato Zazi, era quello di puntare su «strutture molto conosciute» e di «causare il massimo dei danni» con un attacco da portare tra il 22 agosto e il 20 settembre.

Durante la deposizione, Ahmedzay ha citato a pappagallo versi del Corano ispirati alla guerra santa, chiedendo agli Stati Uniti di interrompere l’azione militare contro l’islam. Questa era la storia che apriva i notiziari serali, a New York, la sera di sabato 24 aprile 2010. Oggi, chi potrà permetterselo, continuerà a rinunciare al metrò, perché lo sa che non è finita qui. Salirà su un taxi, fisserà gli occhi del pachistano che lo guardano dallo specchietto e si farà la stessa domanda che i newyorchesi si fanno dal 12 settembre 2001. E questo chi è? Chi lo manda? Che cos’ha in testa?

fonte dell’articolo: IlGiornale L.Gulli 25/04/2010

E noi aggiungiamo: liberalizzazioni? Pensiamoci bene, molto, molto bene!

Un commento

  1. Le liberalizzazioni non sono mai pensate per il bene degli utilizzatori finali, ma per il benessere di imprenditori senza scrupoli che traggono lucro da esse. Vuoi che si pongano quel genere di domande? Direi di no! Soprattutto dopo aver dato un’occhiata avida al loro saldo economico.

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