Umberto Eco, interagire con i tassisti…

Umberto Eco nel 1992 nel suo libro "Secondo Diario Minimo" (Ed. Bompiani) ha scritto di noi "COME USARE IL TASSISTA"
 

Nel momento in cui si sale su un taxi nasce il problema di una corretta interazione con il tassista. Il tassista è un individuo che guida tutto il giorno nel traffico cittadino, attività che conduce o all ‘infarto o al neurodeliri, in conflitto con gli altri guidatori umani. Di conseguenza è nervoso e odia ogni creatura antropomorfa. Questo induce i radical chic ad affermare che i tassisti sono tutti fascisti. Non è vero, il tassista è disinteressato ai problemi ideologici: odia le manifestazioni sindacali, ma non per il colore, bensì perché intralciano. Odierebbe anche una sfilata di balilla. Chiede solo un governo forte che metta al muro tutti gli automobilisti privati e fissi un ragionevole coprifuoco tra le sei di mattina e la mezzanotte. E ‘ misogino, ma con le donne che vanno fuori. Se stanno in casa a buttar giù la pasta, le tollera. Il tassista italiano si divide in tre categorie. Quello che esprime tali opinioni lungo tutto il tragitto; quello che tace contratto e comunica la sua misantropia attraverso la guida; quello che risolve le sue tensioni in pura narratività e racconta quello che gli è capitato con un cliente. Si tratta di tranches-de-vie sprovviste di qualsiasi significato parabolico, e che raccontate all’osteria imporrebbero all’oste di far uscire il soggetto narrante, affermando che è ora di andare a letto. Ma il tassista le giudica curiose e sorprendenti, e voi farete bene a commentarle con frequenti "Ma guarda che gente, ma che cosa bisogna sentire, ma davvero è successo a lei ".    Questa partecipazione non fa uscire il tassista dal suo autismo fabulatorio, ma vi fa sentire più buoni. A New York un italiano corre dei rischi quando, leggendo sulla targhetta un nome come De Cutugnatto, Esippositto, Perquocco, rivela la propria origine. Allora il tassista inizia a parlare una lingua mai udita e si offende moltissimo se voi non capite. Dovete subito dire in inglese che parlate solo il dialetto del vostro paese. Lui dall’altra parte è già convinto che ormai da noi la lingua nazionale sia l’inglese. Ma in generale i tassisti newyorkesi o hanno un nome ebreo o un nome non ebreo. Quelli con il nome ebreo sono sionisti reazionari, quelli con il nome non ebreo sono reazionari antisemiti. Non fanno asserzioni, chiedono un pronunciamento. Difficile il comportamento con quelli di cui si legge un nome vagamente meridionale, o russo, e non si capisce se sono ebrei o no. Per evitare incidenti bisogna allora dire che si è cambiato idea e non si vuole andare sulla Settima angolo Quattordicesima, ma in Charlton Street. Allora il tassista si arrabbia, frena e vi impone di scendere, perché i tassisti di New York conoscono solo le strade con i numeri e non quelle con i nomi. Invece il tassista parigino non conosce nessuna strada. Se gli chiedete di portarvi a Place Saint Sulpice vi sbarca all ‘Odeon, affermando che di lì non ci sa più arrivare. Ma prima si sarà lungamente lamentato della vostra pretesa con degli "Ah, ca monsieur, alors… ".  All’ invito che potreste rivolgergli di consultare la sua guida, o non risponde, o vi fa capire che se volevate una consulenza bibliografica dovevate rivolgervi ad un archivista paleografico della Sorbona. Una categoria a parte sono gli orientali: con estrema cordialità vi dicono di non pensarci, che trovano subito il posto, percorrono tre volte la cerchia dei boulevards, e poi vi chiedono che differenza fa se invece che alle Gare du Nord vi hanno portato alle Gare de l’Est, perché sempre treni sono. A New York non potete chiamare i taxi per telefono, a meno che non apparteniate ad un club. A Parigi potete, solo che poi non vengono, a Stoccolma potete chiamarli solo per telefono, perché non si fidano di uno qualsiasi che passa per strada. Ma per conoscere il numero di telefono dovreste fermare un taxi che passa per strada, e loro, come ho detto, non si fidano. I tassisti tedeschi sono gentili e corretti, non parlano, premono solo l’acceleratore, quando scendete bianchi come uno straccio capite perché poi vengono a riposarsi in Italia,  guidando  a sessanta all ‘ ora davanti a voi sulla corsia di sorpasso. Mettendo in gara un tassista di Francoforte con Porsche e un tassista di Rio con Volkswagen ammaccata, arriva prima il tassista di Rio, anche perché non si ferma ai semafori. Se lo facesse, sarebbe affiancato da una Volkswagen ammaccata, montata da ragazzini che allungano la mano e vi portano via l’orologio. Ovunque, per riconoscere un tassista c ‘è un mezzo infallibile, è quella persona che non ha mai il resto.

MA È VERO CHE SIAMO COSÌ?

4 commenti

  1. Come riconoscere Umberto Eco: quando leggi un mare di parole e devi ritornare indietro di 2 righe per capire un concetto semplice espresso in modo complicato sei già sulla buona strada, potrebbe essere lui.
    Comunque ha ragione, aparte (purtroppo) la faccenda del resto.

  2. Io due o tre persone che aderiscono alla descrizione fatta da Umberto Eco le conosco, ma solo una di queste è anche un tassista. Quando si cerca di racchiudere in un unico insieme un cospicuo numero di persone, si cade inevitabilmente nella generalizzazione, nulla di male se la cosa vuole solo divertire e non ha pretese di scientificità.
    Scrittura divertente ma io non mi riconosco.

  3. Del suo libro si dice in una recensione: “un’ironica e implacabile critica a fatti e misfatti del costume nazionale, a vizi e vezzi della cultura nostrana.”
    Nasce con l’intento di divertire, ma Eco a mio avviso ci riesce solo in parte.

  4. Conoscendo l’autore, mi sarei aspettato molto peggio. invece l’inizio è quasi carino, peccato che diventi quasi subito prolisso, supponente, ma soprattutto BARBOSO da SUICIDIO, come ogni manufatto(e uso questo termine apposta, si pensi ai suoi libri più “leggeri”) del più grande “intellettuale Italiano”….Sarò il tipico tassista ignorante,Ma io preferisco di gran lunga il mitico Paolo Villaggio, coi capolavori della saga FANTOZZI!

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