Non ci sono sono solo i danni della piena del fiume Seveso a porre interrogativi sulla qualità del management, anzitutto strategico, di ATM. È di queste settimane un’altra questione, tanto dibattuta, dagli utenti, quanto sconcertante: quella relativa al servizio radiobus.
Alzi la mano chi di voi, vedendo girare per la città nelle ore notturne quei pulmini perennemente vuoti, non ha pensato che fossero uno spreco. E lo sperpero ora è stato calcolato: 4 milioni di euro all’anno. Tanto è vero che in molti hanno pensato che i "tagli" a cui la Finanziaria costringerà il trasporto pubblico milanese debbano cominciare proprio da lì.
Era il 2005, e l’allora “nemico delle corporazioni”, il sindaco Gabriele Albertini, pensò bene di fare concorrenza ai taxisti, istituendo un servizio pubblico che, alla tariffa variabile di 2,50-4,00 euro, portasse a destinazione i milanesi. Il sistema delle corse "a chiamata" costringe le navette a viaggiare a lungo vuote, e la loro capienza è, per usare un eufemismo, poco sfruttata. In realtà molto spesso l’utente è un solo individuo e, pertanto, il servizio è solo "sostitutivo", nei fatti, al taxi, senza nessuna "logica" di integrazione all’infrastruttura (ed ai principi sociali) di ATM, un modello che si può accostare alla regola del peer-to-peer.
Sono dunque i "costi fissi" a zavorrare il saldo finanziario dei radiobus. A guidarli sono dei dipendenti di ATM, a stipendio fisso, mentre il mezzo, dimensionalmente "sproporzionato" rispetto i posti occupati, ha dei costi, di acquisto e mantenimento, altrettanto multipli rispetto ad una "normale" auto…
E dunque ogni corsa è in passivo di una cifra molto superiore alla sua remunerazione. Si è calcolato che gli utilizzatori "abituali" sono circa 700: un numero così esiguo, rispetto all’insieme dei residenti nel capoluogo, circa 1.400.000, da far pensare che potrebbero organizzarsi diversamente, usufruendo, se non delle alternative offerte dal trasporto pubblico, almeno del servizio di "taxi collettivo", riconosciuto a Milano, e che permette a più utenti di usare 1 sola vettura di piazza, se il punto d’origine è lo stesso, o la destinazione si trova lungo una medesima direttrice.
Un’altra, meno dispendiosa possibilità, potrebbe essere quella di affidare il servizio ad un’associazione di taxisti, andando a coprire il costo "extra", rispetto al biglietto, della corsa, e riuscendo a trasformare, così, gli oneri fissi in costi variabili, con una migliore (o meno peggiore, in relazione alla "ridondanza" della finalità di spesa) gestione delle risorse pubbliche.
La domanda del lettore potrebbe essere: ma se lo spreco era così evidente, come mai in ATM non se ne sono mai accorti?
In realtà il "buco" era ovviamente noto conosciuto a tutti, ma i vertici dell’azienda hanno lasciato "correre" – irresponsabilmente rispetto al loro mandato – permettendo che il passivo aumentasse e prendendo in mano la situazione solo quando i provvedimenti voluti dal ministro Tremonti hanno "imposto" una drastica diminuzione degli sprechi.
Ma un caso come quello del radiobus è "emblematico". A volte il cittadino crede di essere beneficiario di una fortunata, per lui, “svista” dell’erogatore del servizio (come nel caso dei 700 milanesi che per 5 anni hanno usato le navette notturne come un taxi a prezzo stracciato), mentre, in ultima analisi, come parte della collettività, finisce per pagare, oltre il prezzo del biglietto, l’errore.
Facciamo un altro esempio, stavolta legato ad un servizio di gran moda, del quale molti milanesi parlano bene se non benissimo e che, ancora una volta, nasconde un "buco" prevedibile e, poi, consuntivato. Stiamo parlando del bike-sharing, il servizio che ha raccolto l’eredità delle “bici gialle fantasma” rimaste un "mito" nella storia recente del costume cittadino (perché sublimate, dalla prima all’ultima, il giorno stesso dell’inaugurazione del servizio, da parte di alcuni ladri o, come inteso da chi non ci ha rimesso nulla di tasca sua, "bontemponi").
Nel 2008, quando venne effettuata la gara per l’assegnazione del servizio, le società specializzate – a livello europeo – nella gestione della mobilità su 2 ruote se ne tennero ben alla larga. Ad ottenere l’appalto fu Clear Channel, multinazionale che in molti conosceranno per l’organizzazione di eventi “live”, a partire da importanti concerti rock, e che invece venne scelta – a sorpresa – per un’attività che non apparteneva nè alla sua esperienza organizzativa nè al suo storico modello di business (ma che oggi rientra nelle sue strategie commerciali in molte nazioni europee).
Si vociferava peraltro che i costi di gestione sarebbero stati compensati dall’assegnazione 200 impianti pubblicitari, un’altro canale gestito con grande "superficialità" nell’Amministrazione milanese, soprattutto nell’ottica di "ritorno di immagine" per il sistema turistico meneghino.
I primi problemi sono nati allorché il Comune ha tardato ad attivare queste posizioni, e in breve si è creato un "buco" di circa 1 milione di euro. Clear Channel si è peraltro accorta (ex post) che, come in molti sostenevano sin da quando ATM aveva indetto il concorso, che i costi di gestione erano di molto superiori al valore degli spazi pubblicitari offerti.
A fronte di ciò, ATM si è vista chiedere un canone sostitutivo di circa 100 mila euro, che vorremmo capire come si "inquadra" rispetto al dettato di gara. Trattandosi di una multinazionale quotata in borsa, Clear Channel vuole anzitutto evitare il passivo finanziario. E l’impressione è che a fare le spese dell’errore (dell’appaltatore o del committente?) sia ancora una volta il cittadino.
Non so se è capitato anche a voi di voler utilizzare il bike-sharing “alla milanese”. Le postazioni dove si può prendere e consegnare il mezzo sono sempre di più e, nelle giornate di grande traffico delle sfilate di moda, con il metrò strapieno e le strade ingolfate di macchine, le 2 ruote potrebbero far risparmiare tempo, oltre alla loro valenza green e salutista.
Il sistema è apparentemente "semplice": basta essere muniti di una carta di credito. Quando però si telefona al numero verde si scoprono un paio di "particolari" che fanno pensare e, poi, almeno nel caso di chi scrive, rinunciare. Il contratto di servizio e utilizzo “BikeMi” prevede infatti che ogni bicicletta debba essere depositata dopo 2 ore, al limite per prenderne immediatamente un’altra.
Esistono 3 modalità di abbonamento: giornaliero, settimanale e annuale. Apparentemente sono tutti e 3 vantaggiosi (costano rispettivamente 3, 6, e 36 euro), ma è bene ascoltare attentamente le condizioni contrualltuali, sino in fondo. Appena prima di riappendere la cornetta, come ultima informazione, l’incaricato del numero verde (che è un numero di ATM) ci informa che verranno trattenuti 150 euro, per cauzione, con un prelievo dalla carta di credito. E che verranno ridati solo una volta che l’abbonamento sarà "scaduto".
L’articolo 3 del regolamento, al punto 6, recita infatti: “L’utente autorizza il vincolo, tramite apposita disposizione sulla propria carta di credito, di un importo pari ad euro 150, a garanzia della copertura finanziaria in caso di furto o smarrimento della bicicletta nonché a trattenere gli eventuali importi dovuti a titolo di penale in forza del successivo articolo 9”.
Il prelievo di 150 euro, pur di cauzione, che non si capisce bene quando verranno restituiti, per noleggiare una bici per 2 ore, appare scoraggiante. A chi abbia una certa pratica di servizi di rent a car o car-sharing, la cifra può anche apparire una "follia". E andiamo allora a leggere l’articolo 9, quello relativo alle penali. Per la riconsegna della bicicletta dopo 24 ore dal prelievo, 150 euro. Per il danneggiamento lieve, accertato a carico dell’utente, 50 euro. Per lo smarrimento della card di abbonamento annuale, di codice o password (per gli abbonamenti settimanali o giornalieri), 5 euro.
A nostro sindacabilissimo parere una cauzione così alta potrebbe essere evitata. Allo stesso modo è fuori da ogni logica che un ritardo di sole 22 ore comporti una multa così alta. Né ci è chiaro che provvedimenti vengano presi per chi non riconsegna la bici con un ritardo compreso tra le 2 ore e le 24, a partire dal prelievo, ma quel che più c’interessa è un’altra osservazione: con un numero di abbonati in continuo aumento, il gestore del servizio si trova ad amministrare un cash-flow di liquidità interessante (e in costante crescita), solo in ragione al meccanismo delle cauzioni.
ATM si è tenuta per sé gli oneri della gestione del numero verde, ma ha lasciato a Clear Channel altri aspetti operativi, a partire proprio dalle transazioni finanziarie e dalla gestione dei dati personali. E la concessione, a quanto ci risulta, è di 15 anni.
Ci "scappa", spontanea, un’altra domanda: perché vincolarsi così a lungo ad un partner, per un servizio che non sottende investimenti infrastrutturali che necessitino lunghi tempi di ammortamento?
Nella speranza che il bike-sharing non si tramuti entro poco tempo in un altro conto da recapitare al cittadino, come nel caso del radiobus, consigliamo ai milanesi di guardare con maggiore attenzione i conti del servizio pubblico, per capire quanto costa offrire dei servizi di reale utilità e quanto si spreca (senza risponderne agli stakeholder nè alla Corte dei Conti) per creare dei disservizi pagati dalla collettività.
fonte: milanoweb.com 03/10/2010
I “furbetti del quartierino” non stanno solo a Roma.
come si dice “hai voluto la bici,ed ora pedala”