Racconto di Leonardo. (Clicca qui per la Versione Audio)
La gente che sale sul taxi, Dio che cose che fa! Dopo pochi mesi di questo lavoro arrivai all’osso della vita, come non mi era capitato nei trent’anni precedenti, impegnato in altre attività. Osservavo tutto, attentissimo, ero in cerca di materiale umano… Esaminavo tutti i clienti, misuravo ogni situazione. Per esempio si può etichettare una persona dall’ora che va a lavorare la mattina. Vedi i loro corpi, i loro visi, uscire dal treno e dalla metropolitana e dirigersi verso il loro destino. Se poi qualcuno di loro sale in taxi la tua analisi diventa ancora più precisa, perchè percepisci i loro umori da vicino. Quelli che escono alle sei della mattina sono la feccia della terra e lo sanno. Sicuramente stanno tutti irrigiditi l’uno contro l’altro. Hanno ancora in bocca il sapore del sonno e odiano il lavoro. Alle sette lo stupore è scomparso dalla faccia dei pendolari per essere sostituito da espressioni truculente. Anche quelli che escono alle sette odiano il mondo intero, includendo i tassisti come nefasta e privilegiata parte del mondo, ma hanno l’energia per dimostrarlo. Si muovono bruscamente, danno gomitate per assicurarsi l’ultimo taxi della fila. Quelli meno furbi arrancano, borbottano e maledicono quegli stronzi di tassisti che quando servono non ci sono mai! Alle otto escono i timidi: lettori di giornali, ragazze con libri presi in prestito che lavorano in enormi uffici. Sono impiegati, diplomati delle scuole commerciali, uomini in camicia bianca e cravatta di buna fattura, giovani donne con vestiti di sartoria e smalto rosso. Si comportano tutti decentemente, salutano perfino e tra loro potrebbe esserci qualcuno che osserva e sceglie e rappresenta la grande occasione. Quelli che vanno al lavoro alle nove, sono come gira il mondo. Uomini d’affari, professionisti, vicedirettori, ragazze in gamba che sono la vera anima pulsante del loro ufficio, gente che ha la macchina, ma sceglie il taxi perché “non vuole problemi di parcheggio”. La pattuglia delle dieci, i comuni mortali non li incontrano mai e comunque non sono una pattuglia, sono cani sciolti (pardon) guidatori sciolti, che prendono la strada più lunga perché è più bella (anche i tassisti scelgono le strade più lunghe per la stessa ragione), che portano grasse borse di pelle e prendono il taxi per poter pagare con carta di credito. Quale? A scelta, ne hanno a bizzeffe nel portafogli. Sono l’elite, il top delle agenzie finanziarie, delle banche e del ramo assicurativo. Sono quelli che rischiano bene, che profittano molto, i migliori e se scappano non li ritrovano più. E’ così che ho sempre giudicato la gente: mi pareva di conoscerli tutti.
Sapevo che presto o tardi sarebbe successo qualcosa. La legge della media era dalla mia parte, solo questione di tempo. Lorena Mc Cullan saltò su una sera, verso le ventitrè, fresca di parrucchiere ed estetista. Lo specchietto retrovisore è una grande invenzione: indossava un vestito nero, scollato e orecchini elaborati. I capelli neri sembravano di fiamma e una decina di falene maschio le ronzavano intorno sul marciapiede. Un insetto particolarmente grasso e untuoso scavalcò gli altri ed entrò in taxi con lei.
“Hotel Clayton!” Disse lei senza degnarmi di un saluto. Lei e l’insetto untuoso litigavano, ma non me ne preoccupai più di tanto. Dallo specchietto retrovisore la guardavo: era un bel pezzo di figliola. Non ti rendi conto di cosa voglia dire “bella” finchè non vedi una come lei: la perfezione di quella testa, perfino il suo teschio doveva essere affascinante. Il suo algido collo era come una sirena che ti ammaliava perdutamente. I nostri sguardi si incrociarono, le mi strizzò l’occhio, io ricambiai. A metà strada l’insetto untuoso vomitò fuori dal finestrino (per fortuna) e quella fu l’occasione per liberarsene. Fu la stessa Lorena a gridargli “sparisci dalla mia vista, maiale!” Ora stavo da solo con lei, una donna delle ventitrè. Le donne delle ventitrè non capitano spesso, si fidano poco ad andare in giro a quell’ora. Le donne delle ventitrè sono un materiale raro, mai sole, tranne Lorena. Per caso. Le donne delle ventitrè sono praticamente inafferrabili , ma quella fu la mia grande occasione, da non perdere assolutamente. Una nota di rosso non avrebbe stonato con il suo nero vestito e i suoi capelli corvini. I suoi occhi neri come ebano, luccicanti come non mai, si sarebbero intonati meravigliosamente al rosso di una morbida sciarpa di seta. Ne tenevo una in serbo per la mia grande occasione. Scartai con cura la lussuosa confezione, la sfilai delicatamente dalla bustina di raso bianco e la circondai attorno al suo collo. Guardai Lorena con grande dolcezza: sentii sopraggiungere un grande atroce dolore irrefrenabile; trattenni a stento una piccola lacrima mentre le mie mani cingevano la morbida sciarpa attorno al suo morbido collo. Lorena mi guardò con aria confusa senza capire cosa stessi facendo. Poi lei, nell’oblio del suo umido sguardo, finalmente capì.
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La voce narrante è di Manuel DJ di Radio Panda 96.3 MHz in zona nord Milano o via internet.
Liberamente ispirato al romanzo “La Sciarpa” di Robert Bloch (1947) – Oscar Mondadori (1989)
Luoghi e persone citati, sono frutto di fantasia.