I Love Margy

racconto di Leonardo (storia vera)
Cosa può legarti per anni ad un luogo? Esistono legami che ti porti dietro per anni e se fai il conto del tempo trascorso pensi: “E’ Incredibile, il tempo passa come se niente fosse”. Esiste un locale di Milano che era il mio punto di riferimento di quando ero adolescente, lì  mi facevo delle impressionanti scofanate di wurstel e crauti, con senape e ketchup.  Ci vado ancora quando capita di essere in centro città e l’ora è quella che fa borbottare lo stomaco per la fame. L’arredo e’ rimasto immutato negli anni e sono sicuro che resterà così per tanti anni ancora perché il “Margy”, in piazza Santo Stefano dal 1968,  non sarebbe più lui se cambiasse anche un solo sgabello. Ci ritrovavamo spesso il sabato sera, prima o dopo il cinema, era come entrare nelle vecchie osterie di paese dove esisteva  un’atmosfera inconfondibile, un azzurrognolo alone di fumo, l’odore delle piastre di cottura e in più un calore umano che avvolgeva tutti gli avventori abituali, ma che non disdegnava di coinvolgere anche gli occasionali. Luigi, il “patron” del Margy era un ottimo intrattenitore, pacato, sempre  sorridente, generoso, in particolare con i meno abbienti. Non occorreva essere particolarmente danarosi per consumare qualcosa, ma talvolta entrava un poveraccio  infreddolito a corto di denaro, ed ecco che Luigi gli offriva un caffè e se aveva fame gli regalava anche un panino. Domandandogli se tale generosità non fosse controproducente per lui  (se si spargeva la voce, se ne potevano approfittare), rispondeva che quasi sempre chi non poteva pagare, qualche giorno dopo ripassava, allungava la mano con alcune banconote per dimostrare che poteva pagare, chiedeva da mangiare e pagava anche per la volta prima.  Gabriella, la sua signora, era un po’ come lui,  arrivava alla sera e dava una mano dietro il bancone. Ogni tanto preparava qualche pasta asciutta con sughi profumati e gustosi: era il pasto per loro, perché a mangiare sempre panini… che barba!  La pasta era sempre  abbondante, abbastanza per darne una porzione anche a noi habituè del sabato sera.  Nel frattempo ecco che entrava “il maestro”, un signore che insegnava musica non si sa bene dove, leggermente trasandato e con abiti un po’ lisi. Ordinava un buon pasto che consumava con calma  in compagnia di una bottiglia di barbera che finiva regolarmente. Dava l’impressione che vivesse da solo, che non ci fosse nessuno che curava il suo aspetto, tuttavia sembrava essere in pace con se stesso e con il piccolo mondo che gli ruotava attorno. Ogni tanto era a corto di denaro,  ma pagava puntualmente qualche giorno dopo. A volte si faceva vedere anche “l’avvocato” , un signore compassato sulla settantina che aveva avuto di certo periodi migliori e che doveva apprezzare molto il colore beige, tant’ è che aveva sempre indosso golf o gilet di quel colore, con macchie d’unto assortite sul petto (io le chiamo petole). Non l’ho mai visto né molto lucido, nè bere acqua, preferibilmente un grappino. Era il periodo degli Swatch, quelli di plastica,  e c’era Luciano, detto anche “mister Swatch” che si era messo a fare la collezione di quegli orologini. Trafficava con scambi merce, pezzi nuovi e usati. “Mister Swatch” di solito raramente beveva o mangiava qualcosa, ma veniva li soprattutto per raccontare a chiunque  della sua collezione e magari riusciva a vendere qualche pezzo. Io comperai da lui un bellissimo Chrono “Wall Street” ad un prezzo interessante.  Poteva mancare una signora? No di certo. La chiamavano “La Barbie” perché somigliava, sia per i vestiti che per le acconciature all’ omonima bambolina, ma con un particolare non da poco: era sulla sessantina, se non di più. Stravagante, ma di classe.
Che dire poi di Renato,  cugino di Luigi, personalità esuberante, caciarone e un po’ ganassa. Uno a cui non mancavano mai le parole e soprattutto le battute. Stava alla cassa e lumava le belle ragazze.  Infine, un gruppetto di tassisti che venivano a mangiare un boccone, a raccontare barzellette, giocare a scopa. E li conobbi  il Bruschi, Antonio, Franchino “Delta32”, Roberto detto “lo zio”. Lo zio era milanista sfegatato (al punto che non riuscireste ad immaginare…) caro e buono, ma quando giocava a carte si trasformava…
“dai Leo, facciamo una partitina a scopa, stiamo in coppia io e te…”
e io cominciavo a sudare freddo… 
“No, no zio, lo sai che faccio pena a scopa, poi tu ti arrabbi e io ci rimango male…”
lui faceva un sorriso e prometteva che non si sarebbe arrabbiato.
Dopo pochi minuti si arrabbiava eccome!
Io non ricordavo le carte che andavano e quelle che restavano in mano e lui puntualmente si arrabbiava… come quando perdeva il Milan! Poi in un attimo tutto passava e tornava ad essere il solito “zio” allegro e gioviale. In quel periodo rimasi senza lavoro e fu proprio lo zio che trasferì a me la sua licenza, era anziano e stanco di stare in strada, aveva poi avuto problemi di cuore per cui voleva smettere . Se non  fossi mai stato al Margy, forse non sarei mai diventato un tassista. Nel corso degli anni sono cambiate le compagnie, i tassisti che vedevo al Margy li vedo in strada, Lo zio e Luigi sono scomparsi già da alcuni anni, non ci vado più alla sera (sono diventato pigro), ma nell’ora di pranzo se faccio una capatina in Piazza Santo Stefano, mi accolgono con lo stesso calore di quei tempi: sono i ragazzi di allora che oggi – non più ragazzi – gestiscono il locale. E la storia continua.
 

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