Alimentari e servizi: ecco il confronto con le altre città italiane. Alle stelle i prezzi di pane, pasta, frutta e prodotti per la casa. E dal meccanico conti da gioielleria
Il record è quello del pane. Perché la michetta dorata, appena cotta dal fornaio accanto Santa Maria delle Grazie, costa salata. Quasi un euro in più che in un panettiere davanti al Colosseo o al museo degli Uffizi, il doppio rispetto a quello che lavora alle spalle di piazza del Plebiscito, all’ombra del Vesuvio. Ma anche mele e carote, vino e olio, bagnoschiuma e tovaglioli di carta, con gli scontrini più alti d’Italia a parità di merci acquistate. Da Bari a Roma, da Napoli fino a Bologna, Firenze, Genova e Torino, insomma ovunque, il conto è meno caro: circa il 10 per cento in meno, in media, rispetto a Milano, in base a un ipotetico carrello della spesa “tipo” che comprende quattordici prodotti dal pane alla pasta, dall’acqua minerale al tonno sott’olio. Risultato: a Milano si pagano quasi 71 euro contro i 63,50 di media degli altri capoluoghi. E per giunta l’inflazione galoppa.
A dire che Milano è la più cara delle grandi città italiane sono i dati pubblicati dall’Osservatorio prezzi e tariffe del ministero dello Sviluppo economico, su rilevazioni Istat, Eurostat, Infomercati e Ismea. Numeri che fanno riferimento allo scorso maggio, quando l’inflazione meneghina era al 2,9 per cento, con il picco degli alimentari al 3,3. I dati provvisori di giugno parlano di un ulteriore incremento, con l’indice dei prezzi al consumo al 3,4 per cento contro il 2,7 di media nazionale e, per il comparto alimentare, addirittura al 4,5. Una tendenza confermata dall’Osservatorio, che documenta un abisso con gli altri capoluoghi. Ma c’è un’altra indicazione che emerge dai dati: negli ultimi anni a Milano le diseguaglianze sono aumentate sempre più, con una forbice molto ampia fra i prezzi dei prodotti di marca e quelli low cost.
Così, rileva il ministero, in città per lo stesso taglio di carne bovina si va dagli 8,9 euro al chilo fino a 36,9, e un litro di olio extravergine varia dai 2,89 ai 13,61 euro. La distanza fra il prodotto di marca e quello “popolare” è tale che, per lo stesso carrello della spesa, scegliendo il prezzo top per ogni articolo si spendono 190 euro mentre preferendo sempre il low cost il risultato è di 38, cinque volte meno. In altre città la differenza fra l’alta gamma e l’offerta al risparmio non è così marcata: a Roma la spesa minima, a parità di prodotti, è di 38 euro mentre il massimo è di 133. A Torino si va dai 41 ai 118 euro.
Per un confronto, basta scegliere qualsiasi voce di spesa. Per un chilo di frollini nel capoluogo lombardo si pagano, in media, 4,48 euro. Un euro in più rispetto a Torino dove il prezzo medio è 3,63 e a Firenze, con 3,74. A Napoli per portarsi a casa un chilo di biscotti ci vogliono, in media, 2,55 euro. Ma è quello ortofrutticolo, tra gli alimentari, il comparto dove il capoluogo lombardo mette più alla prova i suoi consumatori: per un chilo di mele golden quelle gialle e succose, perfette per la crostata sotto il Pirellone si sborsano in media 50 centesimi in più rispetto a Firenze (dove il costo è intorno a 1,49 euro) e Bari (1,45). Stesso discorso per le carote, che sotto le guglie del Duomo hanno un costo maggiorato dai 30 ai 50 centesimi rispetto a Roma, Napoli, Genova e Torino.
Il primato, tuttavia, non riguarda solo gli alimentari. Perché è quello dei servizi il settore dove i milanesi sono più in difficoltà. A partire dagli automobilisti: per rifare la convergenza in città la spesa media è di 70 euro. Esattamente il doppio di Napoli e Firenze, “solo” 30 euro in più rispetto a Roma. Il panino della pausa pranzo costa un euro di più alla stazione Centrale piuttosto che a Termini, la messa in piega delle sciure sui Navigli circa 3 euro più di quella delle signore napoletane o baresi. E le associazioni dei consumatori vanno all’attacco: «Milano non è una città di ricchi, ma per ricchi. Le fasce più povere sono state espulse dalla metropoli o costrette a vivere ai margini. Questo è possibile perché nessuno mai ha cercato di contrastare questo fenomeno, governando la città o regolando il mercato» dice Marco Donzelli, presidente di Codacons.
I commercianti milanesi spiegano il caro prezzi con le spese che devono sostenere, maggiori rispetto ad altre parti d’Italia. Ed è un circolo vizioso. «Pensare che il prezzo del pane dipenda solo da quello della farina è ingenuo dice Pietro Restelli, presidente dell’associazione dell’Unione del commercio che rappresenta 1.500 panificatori fra Milano e Monza qui gli affitti sono alti, i trasporti lenti a causa del traffico, e il contratto regionale per i lavoratori del settore è oneroso. A Milano poi si fanno 100 tipi di pane, vista la complessità della domanda, e questo aumenta gli avanzi». Per Alfredo Zini, vicepresidente di EpamConfcommercio che raduna 15mila baristi e ristoratori fra città e hinterland, «se è vero che la media dei prezzi è più alta rispetto ad altre città, va considerato che l’offerta è varia e anche in centro si può risparmiare. Il prezzo del caffè al banco, per decenni ancorato a quello del giornale quotidiano, oggi è più basso grazie alla concorrenza».
fonte: milano.repubblica.it 03/07/2011 ALESSANDRA CORICA e FRANCO VANNI