“Inaccettabile il no a tagli sui costi della politica”, così commentava a ferro caldo la manovra economica la solitamente pacata presidente di Confidustria Emma Marcegaglia , al centro del dibattito della settimana appena conclusa.
E mentre ci sentiamo le trite e ritrite prediche sui tempi duri e i sacrifici a venire – come se gli ultimi anni fossero stati indenni da sofferenze – non ci accorgiamo che la cosiddetta casta, o se preferite un termine meno inflazionato e più riverenziale, la classe politica, si mostra recalcitrante nel dare il buon esempio, forse perché non ci ha nemmeno mai provato.
A questo proposito scriveva Angelo Panebianco sul Corriere di giovedì:
… i costi documentati sono peraltro solo la punta dell’iceberg. I dati precisi non sono facilmente reperibili ma è certo che il numero di coloro che in Italia vivono «di politica» (la cui fonte di reddito, cioè, deriva, direttamente o indirettamente, dalla politica) è enormemente cresciuto negli ultimi venti anni: c’è chi pensa che sia addirittura quadruplicato o quintuplicato.
Non è affatto solo una questione di auto blu e di stipendi di rappresentanti eletti (che sono le cose che maggiormente colpiscono il cittadino). C’è molto, molto di più. Là fuori c’è un vero e proprio esercito, con famiglie a carico, di quelli che potremmo definire «professionisti politici occulti», persone che campano grazie al fatto che la politica (i partiti) li ha piazzati – a livello nazionale, regionale, locale – in consigli di amministrazione, all’interno di società pubbliche, e ovunque essa potesse allungare le mani. Persone che sono in quei posti, per lo più, non per le loro competenze ma per i loro legami politici….
Ecco, perché, in un paese dove i sacrifici vengono richiesti sempre e solo alla stessa fascia sociale (quelli che non sono raccomandati) è presumibile che tutti i discorsi che raccomandano il rigore, che si sentono ripetere in televisione dai “tromboni di palazzo” non siano altro che “fuffa”.
In tema di crisi, cosa riserva il versante delle grandi opere? Appena passate poche settimane dalla “guerriglia di Chiomonte” (TAV) ci siamo già dimenticati che gli entusiasti fautori della linea ad Alta Velocità hanno omesso di spiegare dove andare a prendere i 20 miliardi di euro (costo dell’opera) a fronte dei “miseri” 600 milioni di finanziamento europeo da spartire con la Francia. I cantieri sono già all’opera e qualcuno pagherà l’equivalente di questo terzo di finanziaria, se avanzeranno degli spiccioli in tasca.