Contingentamento: le motivazioni economiche del cosiddetto “mercato chiuso”

Articolo di Salvatore Luongo:

img_luongoFacciamo un po’ di chiarezza. Perché alcuni settori appaiono come un mercato chiuso e le licenze in tali settori hanno un valore molto alto? In alcuni settori di interesse pubblico le licenze per svolgere l’attività specifica, sono contingentate in base al cosiddetto “bacino d’utenza”, ovvero il numero di abitanti per città o quartiere. Tali settori, benché abbiano caratteristiche peculiari differenti tra loro, hanno tutti qualcosa in comune. Il contingentamento di tali attività ha essenzialmente due funzioni. La prima va ricercata nella garanzia di qualità e prezzo del prodotto o servizio offerto  all’utenza e quindi alla collettività: ad esempio il prezzo dei farmaci, dei tabacchi, dei giornali e le tariffe dei taxi.

Molti dei prezzi al consumo di tali settori o servizi, sono stabiliti da enti preposti o dagli stessi fornitori/produttori. Essi stabiliscono la percentuale di ricarico che andrà a favore dell’operatore. Qui arriviamo alla seconda funzione, che è quella di far produrre un reddito sostenibile a tali operatori. Come si può intuire, partendo da questi concetti, il fabbisogno di tali prodotti o servizi non varia in funzione della maggiore offerta; piuttosto esso varia dell’aumento della popolazione per città o quartiere.

Su tale contingentamento pesano anche altri fattori più specifici per settore: le infrastrutture come aeroporti, porti, stazioni FS e altre attrattive tipo città d’arte, balneare, montana, lagunare, grandi Centri Congressi o Fiere, ospedali di rilievo, ecc. Alcuni piccoli banali esempi: sarebbe paradossale che la gente ad acquistasse più farmaci dello stesso tipo o ne faccia uso giornaliero e abituale senza motivo; oppure acquistasse più copie di giornali o prendesse più volte lo stesso taxi in una giornata  se non per propria “comodità”.

Aspetto in comune: trattasi, di beni o servizi non rientranti in quelli di prima necessità, largo consumo o soggetti a senescenza e obsolescenza. Conseguentemente a quanto detto, il prezzo del prodotto o servizio, non può variare al ribasso se a monte della filiera non si assista ad un abbattimento del costo che grava sull’operatore. Nello specifico caso dei taxi possiamo tradurlo in questi termini:

  1. Maggiore offerta: ad un aumento dei taxi in circolazione con parità di costi di gestione corrisponderebbe un minor reddito dell’operatore e conseguentemente la necessità di ritocco al rialzo delle tariffe, entrando in una spirale senza uscita. I costi di gestione o vanno abbattuti a monte o vanno finanziati attraverso l’aumento della spesa pubblica (utopico) e non è certo nelle intenzioni delle finanze statali attuare questa inversione di tendenza. Va ricordato che ogni singolo taxi subisce il “mercato” dei carburanti, delle automobili, delle assicurazioni, come e spesso peggio (assicurazioni) del semplice automobilista.
  2. Aspetto economico: il taxi, a differenza del TPL, non costa nulla alla collettività; i costi gravano totalmente sul rapporto operatore-utente .  Il TPL ha un prezzo politico, cioè non copre i costi del servizio stesso che viene compensato mediante finanziamenti pubblici. Le tariffe dei taxi sono invece stabilite da apposite commissioni consultive e tenute di proposito basse, spesso per sopperire alla carenza stessa di trasporti pubblici di linea. In Europa siamo tra i taxi mediamente meno cari,  a dispetto di leggende create ad hoc. L’eliminazione delle compensazioni per il TPL comporterebbe sicuri aumenti di tariffe. Le compensazioni non sono applicabili ai taxi in quanto porterebbero costi enormi per lo Stato.
  3. Concorrenza: A parità di bacino di utenza se i prezzi diminuiscono non è affatto detto che più gente prenda il taxi. Se una corsa invece di costare 15 di euro ne costasse 10, la diminuzione è certo evidente, ma non per questo chi si muove in bus e metro ad un euro massimo un euro e mezzo, cambierebbe le proprie abitudini. L’automobile è di per sé un veicolo antieconomico e ad alti costi di gestione. Le tabelle ACI sui costi chilometrici ce ne danno la prova certa. Il lavoro di tassista non ha nulla di esclusivo. Il paradosso e l’atipicità di questo lavoro consiste nel fatto che chiunque in possesso di patente, sia in grado di svolgere l’azione unica che serve allo scopo: guidare un automobile. Guidare è la cosa più semplice di tutte. Un esercito di tassisti sarebbe già pronto e tra essi, ogni specie di individuo.  Per questi motivi, oltre alle concorrenze trasversali (NCC, auto alberghiere, auto di cortesia, bus turistici, bus panoramici, trasporto scolastico) esso è da mettere strettamente in concorrenza con il TPL, a prezzo politico e con le stesse auto private in circolazione nelle nostre città. Il servizio è lo stesso: trasporto pubblico (per pubblico si intende “aperto al pubblico”) di persone. L’unico aspetto differente è dato dai fattori  rapidità + comodità, quindi dalla qualità del servizio offerto.  I taxi Svolgono attività con “obblighi di servizio”, come la disponibilità notturna, ma noi non dobbiamo considerare il taxi un servizio pubblico, bensì un servizio di pubblica utilità: è questa l’esatta definizione.
  4. Diversificazione offerta e segmenti di mercato:  Il taxi non ha sede fissa ma “ambulante”, ne consegue l’impossibile fidelizzazione della clientela; il sistema della “fila” nei posteggi  è imprescindibile in quanto servizio da piazza. La fidelizzazione della clientela è possibile in settori che operano con sede fissa ed anche al settore NCC che opera su commessa. Il taxi “vende” un solo “prodotto” ed è sempre lo stesso, ovvero offre un solo servizio che è quello di prelevare i passeggeri e condurli a destinazione. Un “prodotto” tecnicamente non implementabile. Per offrire un servizio migliore si dovrà consentire al gestore di trarre un maggior profitto che gli consentirà di investire sul lavoro (es. una migliore vettura) e aggiornare professionalmente il proprio livello professionale (es. parlare più lingue). Così facendo non si creerebbe quella anomalia tutta italiana dei taxi di colore blu (ncc abusivi) ma avremmo dei taxi di alta qualità e congrua preparazione professionale. Gli altri segmenti del mercato libero, essendo a sede fissa, hanno potuto difendersi in qualche modo, diversificando l’offerta di prodotti o servizi creando un circuito concorrenziale che però presenta innumerevoli inconvenienti soprattutto per l’utenza o comunque per il consumatore finale. Spesso assistiamo infatti a vendite promozionali o sotto costo di cosiddetti “prodotti esca” ai quali ne vengono affiancati altri a prezzi notevolmente alti e/o fuori mercato. Sistematicamente anche questi ultimi vengono acquistati. Ebbene questi schemi non sono certo applicabili al settore taxi.
  5. Aspetto sociale: I tassisti sono assolutamente privi di alcun ammortizzatore sociale. Occorre, a tal proposito, ricordare, tra questi grandi assenti, una copertura sui i rischi enormi derivanti da malattie professionali note e facenti parte del mai riconosciuto “lavoro usurante”.   Quando si parla di prezzo delle licenze o di “rendite di posizione“,  bisognerebbe tener presente che il valore della licenza sia l’unica ancora di salvezza e rappresenti per alcuni il TFR, per molti addirittura TFR, previdenza integrativa e sostitutiva.Questo valore non deve quindi  intendersi strettamente in relazione o proporzionato al  reddito prodotto, bensì all’insieme di più fattori: il necessario numero chiuso  (come già spiegato) , la qualità, la funzionalità in base al contesto lavorativo: il soggetto che acquista la licenza taxi, ad esempio, viene immediatamente messo a pari condizione di reddito con chi la detiene anche da 30 o più anni. Altro aspetto da evidenziare è che il fatto stesso di acquistare una licenza taxi, per molti giovani e per tanti tra i 40 e i 50 anni d’età che hanno perso il lavoro o vissuto di precariato, rappresenta l’ammortizzatore sociale per antonomasia: una sorta di “parcheggio” per coloro che aspettano tempi migliori o altre occasioni, ma nel frattempo devono sostenere la propria famiglia. Il precariato e la disoccupazione non l’hanno certo creata i tassisti.

Per finire, le formule matematiche magiche dell’Istituto Bruno Leoni:

Lo scenario in regime di deregolamentazione sarebbe il rastrellamento delle licenze da parte dei grandi gruppi industriali e di multinazionali che creerebbe una sorta di oligopolio sfruttando i dipendenti autisti e facendo cartello con relativo aumento delle tariffe.
Abbiamo avuto esperienze di liberalizzazione in varie parti del globo con effetti disastrosi,: a Dublino vi è un numero impressionante di Taxi (circa 11.000) per una popolazione di numero equivalente a quella di Napoli e Torino, dove si sono registrati numerosi suicidi tra i taxi drivers, ma anche stupri, violenze, rapine, sono all’ordine del giorno; il servizio è pessimo e le tariffe sono aumentate. L’istituto Leoni dice delle assolute falsità a questo proposito.  Inoltre, il prodigarsi in studi attraverso formule matematiche, per gli addetti ai lavori appare quanto meno grottesco: il fattore casualità, nel lavoro di tassista, è quello dominante. Le variabili sono infinite. Più che di formule matematiche, si tratta di formule magiche.

Salvatore Luongo AMMINISTRAZIONE T.I.U. Tassisti Italiani Uniti gruppo facebook

fonte: atuttadestra.net 11/04/2012

4 commenti

  1. condivido l’analisi fatta e ben esposta dal collega,aggiungo solo che un valore di mercato dato alla licenza taxi è assolutamente errato in quanto sarebbe l’unica licenza che avrebbe un valore tra quelle date da un ente ,il valore è dato dal reddito dell’attivita e pertanto distante da quanto ci viene richiesto dall’ufficio delle entrate in caso di trasferimento.Stiamo pagando milioni di euro impropiamente all’ufficio tasse per dare un valore patrimoniale voluto da qualche associazione sindacale.Mi piacerebbe sapere se qualche nuovo intestatario riesce a ammortizzare la somma pagata al vecchio intestatario detraendo l’importo dalle tasse?

  2. Credo dipenda dal punto di vista del locale ufficio delle entrate.

    Certo è che se dai in garanzia la tua casa per aprire un mutuo di liquidità e con questa liquidità acquisti la licenza, gli interessi sul mutuo mi dicono non siano detraibil (vedremo la mia prima dichiarazione de redditi)i, e parliamo di cifre molto rilevanti. Nel mio caso in 15 ann1 arrivo a circa il 60% della cifra erogata.
    L’assurdo è che noi versiamo questi interessi alla banca, ma questi invece di essere riconosciuti come voci passiva a bilancio e non venendo detratte diventano attive e quindi finiamo con il pagare IRPEF e INPS sugli interessi passivi pagati, a sua volta la banca paga pure essa le tasse sugli interessi percepiti.

    L’ammortamento in questo caso, impostoci dall’ufficio delle entrate che in questo caso, ma non per quello del mutuo, riconosce la licenza come bene strumentale e pertanto soggetto ad ammortamento, diversamente si rischiano sanzioni e verifiche fiscali, diventa una fregatura. Perchè tu credi oggi di detrarre dei soli ma li ripagherai, e magari con gli interessi intesi come maggior aliquota irpef in futuro, quando rivenderai la licenza.

  3. lumachino » Forse c’è un’altro aspetto: nel cosiddetto “riccometro” risulta la tua rata mensile per il pagamento del mutuo, quindi l’accertamento della tua “ricchezza” slitta verso l’alto con il curioso effetto che in periodo di crisi come questo l’accertamento fiscale superi il reale introito.
    Si parla di revisione degli studi di settore visto anche l’aumento folle del carburante che porta insieme alla crisi un calo drastico dei guadagni della azienda-taxi. Qualcuno ne ha sentito parlare?

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