L’ultimo richiamo alla Germania è venuto questa settimana dal Fondo monetario internazionale. Per gli ispettori dell’istituzione di Washington, che hanno visitato il Paese per l’annuale missione di sorveglianza, la performance dell’economia tedesca dopo la grande recessione del 2009 è stata notevole, ma ora si sta manifestando il rischio più grave, un’intensificazione della crisi dell’Eurozona. A questo si aggiunge il rallentamento del resto dell’economia mondiale. «La Germania – scrivono gli ispettori dell’Fmi – è una delle più aperte fra le grandi economie, il che la rende suscettibile allo scenario esterno». Il problema è gestire la transizione da una crescita trainata dalla potenza delle sue esportazioni a una più orientata sulla domanda interna. L’indice mensile dei servizi è sceso il mese scorso sotto quota 50, il che indica una contrazione.
«Vanno aumentati gli investimenti nelle aree al di fuori degli elementi di forza tradizionali e aumentata la produttività», dice Subir Lall, capo della missione dell’Fmi nella principale economia dell’Eurozona. Il colosso industriale d’Europa, considerato un modello di efficienza nella manifattura, ha bisogno di riforme strutturali che investano soprattutto il settore dei servizi.
La verità è che la Germania, che dà lezioni ai partner europei in materia di riforme strutturali, tende a mettere l’accento su quelle che ha già fatto, come la riforma del mercato del lavoro, e che ritiene gli altri dovrebbero imitare per recuperare competitività e rilanciare la crescita. Questa è la via maestra per la soluzione della crisi dell’Eurozona, secondo Berlino, che preferisce invece glissare su quelle riforme su cui è in ritardo, come le liberalizzazioni. In fortissimo ritardo, secondo le istituzioni internazionali e gli osservatori di mercato. «L’aumento della produttività nel settore dei servizi sarebbe aiutato da una maggior concorrenza», è una delle conclusioni dell’Fmi. Lo squilibrio fra i diversi settori dell’economia è pesante: la crescita della produttività nei servizi non legati alla manifattura, è stata nel decennio passato solo un quarto di quella del manifatturiero e la metà della media dei grandi Paesi industrializzati.
L’Fmi indica due aree in particolare sulle quali agire con le liberalizzazioni: energia e trasporti locali. Le resistenze più forti alla concorrenza nelle reti sono a livello regionale. Sui trasporti, pesa l’influenza di Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, il cui monopolio sui percorsi interstatali degli autobus deve ancora essere scalfito. L’Ocse ha pubblicato quest’anno un approfondito rapporto sull’economia tedesca, nel quale la riduzione della stretta regolamentazione nel settore dei servizi è una delle prima raccomandazioni. Un rapporto che ha fatto molto discutere in Germania, ma che non ha portato a progressi concreti.
Le aree individuate dagli economisti dell’organizzazione dei Paesi industriali come bisognose di liberalizzazione sono soprattutto i servizi alle imprese, a partire da libere professioni, lavori artigiani e distribuzione. Si tratta di preoccupazioni che non sono esclusiva delle istituzioni internazionali: le grandi associazioni imprenditoriali, comprese la Confindustria tedesca (Bdi), e i maggiori gruppi dell’industria hanno approfittato di recente di un incontro con il cancelliere Merkel a Monaco di Baviera per presentarle le loro istanze. I ritardi delle liberalizzazioni, hanno detto al cancelliere, che secondo alcuni ha dedicato troppo tempo, negli ultimi due anni, alla crisi europea e troppo poco ai problemi interni, rischiano di far perdere competitività anche all’industria, che pure parte da una posizione di forza nel contesto internazionale.
La regolamentazione in Germania risale a volte a tradizioni centenarie, come quelle relative agli artigiani, protetti dalle loro Handwerkskammer: dai fornai ai falegnami, dai muratori ai pasticceri, tutti devono aver seguito i corsi organizzati dalla camere, che consentono di mantenere standard qualitativi alti, ma anche di escludere gli outsider, la cui preparazione non viene riconosciuta. L’idraulico polacco, che era il babau di una campagna elettorale francese di qualche anno fa, non rappresenta un problema per i suoi colleghi tedeschi, a meno che si sottoponga ad anni di formazione.
Nelle libere professioni, che rappresentano quasi il 10% del Prodotto interno lordo, la tendenza alle liberalizzazioni che ha preso piede un po’ ovunque in Europa, Italia compresa, in Germania non ha attecchito. La tariffa minima degli avvocati, per esempio, resta una vacca sacra.
Le mancate liberalizzazioni sono un freno alla crescita e anche al riequilibrio, grazie a una maggior domanda interna tedesca, all’interno dell’area euro che potrebbe avviare a soluzione la crisi. Secondo stime dell’Ocse, un miglioramento della regolamentazione del mercato dei prodotti per portarla al livello delle migliori pratiche internazionali aumenterebbe la produttività dell’1% su un arco di 10 anni. Le stime sono simili a quelle per Italia e Spagna, i due Paesi oggi nel mirino della crisi e delle critiche tedesche.
Ma ci sono altri elementi su cui finora Berlino non ha inciso, anch’essi in parte dovuti al difficile equilibrio politico e di poteri con gli Stati, che si estende alla proprietà pubblica. Il land della Bassa Sassonia ha di fatto poteri di veto nella Volkswagen, al di là della sua partecipazione del 20% nella più grande casa automobilistica europea, in virtù di una legge di mezzo secolo fa, che la Germania ha difeso strenuamente nonostante le contestazioni a livello europeo. Il settore finanziario si dibatte da decenni nelle distorsioni create dal sistema delle landesbanken, controllate dagli Stati e protagoniste di alcuni dei principali disastri della storia recente dei mercati. La riforma delle landesbanken è un altro dei temi su cui insiste il Fondo monetario. Se qualcosa si muove (come il recente smembramento della WestLb) è più sotto i colpi della crisi e di una cattiva gestione altamente politicizzata che della volontà politica di riforma.
fonte: ilsole24ore.com 7/07/2012
Cioè:l’unione europea,ocse e fmi si lamentano che gli artigiani tedeschi siano più preparati di quelli polacchi(o evidentemente di qualsiasi altro stato)?!?L’unione europea,ocse e fmi si lamentano della wolkswagen(che ha diviso gli utili con i propri operai dando ciascuno 7500€)?!?
Però non si lamentano della Fiat di Marchionne che prende contributi statali,quindi soldi nostri,chiude stabilimenti italiani,licenzia migliaia di operai e delocalizza nei paesi est europei permettendosi anche di salvare aziende americane…
Talvolta credo abbia più valore il parere di quello che al semaforo mi lava il vetro.