A.A.A. Aspirante Lobbysta Laureato Cercasi

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cetrioloDal 22 novembre scorso presso il ministero dell’Agricoltura i lobbisti del settore agro-alimentare si possono iscrivere in un apposito Elenco dedicato a loro. Questo elenco rappresenta la prima iniziativa, a livello nazionale, che ha l’obiettivo di regolare il rapporto tra il mondo delle lobby e un’amministrazione centrale. Il c.d. Decreto Lobby (Decreto del ministero dell’Agricoltura n. 2284 del 9 febbraio 2012) istituisce  l’Unità per la Trasparenza con il compito di curare le procedure di consultazione, obbligatorie per legge, dei lobbisti del settore agro-alimentare nelle fasi di elaborazione di disegni di legge e di regolamenti ministeriali di competenza.  A tal fine, i lobbisti del settore che desiderano partecipare a tali consultazioni sono tenuti ad iscriversi nel suddetto Elenco consultabile da chiunque sul sito internet del Ministero.  I soggetti iscritti sono obbligati a presentare, ogni anno, una relazione sintetica sull’attività svolta;in caso di mancata presentazione, il soggetto inadempiente sarà cancellato dall’Elenco e non potrà più partecipare alle consultazioni.

L’iniziativa del ministro Catania, per quanto importante, rimane l’unico intervento del governo Monti  in materia di regolamentazione dell’attività di lobbying, sebbene  l’Esecutivo abbia dichiarato, a più riprese, di voler intervenire in tale ambito.

L’annosa questione dell’ingerenza delle lobby nel processo decisionale è tornata prepotentemente al centro del dibattito pubblico nei mesi scorsi. Accusate a più riprese di “manovrare” l’azione del governo Monti, le lobby sono state pesantemente additate dai media durante l’esame del Decreto Liberalizzazioni. Come conseguenza diretta, su proposta del Presidente del Senato Renato Schifani, sono state approvate le Linee guida per la redazione di un Regolamento interno della rappresentanza di interessi – del quale, tuttavia, non se ne ha traccia. Si legge nel comunicato: “Al fine di disciplinare i rapporti tra Senatori e portatori di interesse   sarà istituito un apposito Registro, suddiviso per settori di attività (…). Il Regolamento definirà la disciplina delle presenze dei ‘lobbisti’ (…) e l’eventualità di sanzioni per comportamenti ritenuti lesivi del libero esercizio del mandato parlamentare”.

Il tema è tornato alla ribalta  durante l’esame della Spending Review e ha raggiunto il suo picco con il ddl Anticorruzione, il provvedimento che, come tutti ricorderanno, ha avuto un iter a dir poco travagliato in Parlamento e che, tra le altre cose, introduce nel codice penale il nuovo reato di “Traffico di influenze illecite”. Questo punto ha sollevato innumerevoli polemiche perché nella sua versione originaria, data la genericità della formulazione del reato, rischiava di mettere a repentaglio l’attività di lobbying, configurandola attività illecita secondo una possibile interpretazione del giudice. A questo proposito, il Governo si è speso molto e l’attuale formulazione non dovrebbe costituire più un problema per chi svolge (legittimante, è chiaro) attività di rappresentanza di interessi. Per dovere di cronaca, si deve ricordare che in prima lettura alla Camera, sono stati approvati due ordini del giorno (uno dell’on. Moroni – Fli e l’altro dell’on. Cimadoro – Idv) che impegnano ( anche se in realtà questi atti non hanno quasi mai seguito) il Governo a introdurre quanto prima una disciplina sull’attività di lobbying. Tale “impegno” è stato accolto con soddisfazione dal ministro Severino che ha precisato: “Bisogna definire ciò che è lecito, il lobbying è lecito nella maggior parte dei paesi avanzati e non vorrei che l’Italia si dotasse di una legislazione deteriore. E’ illecito un indebito pagamento per una indebita influenza”.

A seguito del primo Consiglio dei Ministri dopo la pausa estiva, il Governo ha pubblicato l’Agenda di Governo con tutte le azioni di cui l’Esecutivo si deve occupare fino a fine Legislatura. Tra queste, il Governo avrebbe studiato una “disciplina di regolamentazione delle attività di lobbying”, anche se, in verità, già a luglio il Governo aveva predisposto una bozza di disegno di legge, di una decina di articoli in cui si prevede:

un registro con i nomi dei lobbisti;

– l’obbligo di comunicare, ogni anno, per conto di chi ci si è mossi e quale è stato il compenso;

– i requisiti minimi per esercitare la professione: 22 anni, laurea specialistica in materie giuridiche, economiche o politiche, oppure tre anni di esperienza con un altro soggetto già iscritto al registro;

– le incompatibilità: non possono essere lobbisti i dipendenti della Presidenza del Consiglio, dei ministeri, del Parlamento, degli enti pubblici, ma nemmeno i dirigenti politici, i componenti dei loro staff e neppure i giornalisti che frequentano il Parlamento. La lista delle incompatibilità vale anche per i due anni successivi alla fine dell’incarico;

le sanzioni pecuniarie vanno da 100 mila  a un milione di euro per chi fa il lobbista senza essere iscritto al registro, e quindi anche per chi non ha i requisiti o è incompatibile. La sanzione è più bassa, da 50 mila a 500 mila euro, per chi dà informazioni false al momento dell’iscrizione. In tutte e due i casi a decidere è la commissione che amministra il registro istituita a Palazzo Chigi.

Da allora il disegno di legge non ha avuto seguito e, ormai, è a dir poco improbabile che il Governo lo proponga. Ma questo non è l’unico testo sulle lobbying finito nel dimenticatoio: nei cassetti delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato ci sono circa una ventina di disegni di legge di iniziativa parlamentare che non hanno mai iniziato l’esame (a piè di pagina l’elenco dei ddl individuati).

I testi sono per lo più simili, tutti prevedono l’obbligo di un registro dei lobbisti, i requisiti per accedervi e delle sanzioni in caso di violazione, con alcune eccezioni di cui parlerò in seguito. Occorrerà quindi attendere la prossima Legislatura per vedere come procederanno le cose.

Questo il quadro nell’ultimo anno, ma la questione va avanti da tempo. Quasi ogni giorno, infatti, si trova un titolo di giornale che accusa le lobby di ostacolare questo o quel provvedimento, di impedire qualsiasi riforma, insomma, di tenere sotto scacco l’Italia intera. Ma stanno proprio così le cose? Personalmente non credo, o meglio, ritengo che per alcuni versi la questione sia mal posta e che sia necessario fare alcune precisazioni.

È assodata l’importanza per un Paese di essere impermeabile a qualsiasi fenomeno corruttivo. L’esigenza è ancor più sentita in Italia dove, secondo il Rapporto di ottobre scorso della commissione nominata dal ministro Patroni Griffi, in Italia cresce la corruzione praticata con un costo che ammonta a diversi miliardi di euro (un rialzo del 40%), mentre calano denunce e condanne. Le ultime rilevazioni sull’indice della corruzione percepita, calcolato da Transparency International,  collocano l’Italia al 69° posto (a pari merito con  Ghana e  Macedonia) indicando un progressivo aggravamento negli ultimi anni.

Per qualsiasi professione è bene dotarsi di un codice di condotta, di un elevato livello di professionalità e di formazione. Questo vale ancora di più per i rappresentati di interessi, il cui lavoro penetra nel processo decisionale pubblico con impatti su tutta la comunità.

È inoltre necessario ricordare che in qualsiasi settore economico o professione, esistono le “mele marce”. I “personaggi” che vengono impropriamente definiti “lobbisti”, i cosiddetti faccendieri che ricorrentemente occupano le cronache politiche (e giudiziarie), nulla centrano con chi svolge un’attività nel pieno rispetto della legalità.

Teniamo presente, infine, che la realtà in cui viviamo oggi è sempre più complessa, un’economia globalizzata e sempre più articolata e le norme che cercano di regolarla sono sempre più numerose e di difficile elaborazione; basti pensare che ogni giorno la nostra vita è soggetta a norme provenienti da numerosi centri decisionali: l’Unione europea, lo Stato centrale, gli Enti locali, le Autorità indipendenti, per citare solo i principali.

In questo contesto credo che l’attività di rappresenta di interessi (svolta in maniera lecita) sia non solo necessaria, ma addirittura estremamente positiva: consentire che chi deve prendere le decisioni lo possa fare in maniera informata, e quindi consapevole, a mio avviso costituisce un bene per il Paese. Attraverso la rappresentanza di interessi si può migliorare la qualità delle norme, le politiche pubbliche possono essere adottate in maniera condivisa, e quindi più facilmente accettate, insomma, ne guadagna la democrazia. Questo è, o dovrebbe essere, il ruolo dei lobbisti. Per riprendere una frase usata, o meglio abusata, da chi svolge questo lavoro, J.F.Kennedy diceva: “Il lobbista mi fa capire in tre minuti quello che un mio collaboratore mi spiega in tre giorni”.

È sempre più necessario che i decisori siano consapevoli di tutti gli interessi coinvolti  in una determinata politica pubblica, di tutte le conseguenze derivanti da una determinata normativa in modo da poter decidere al meglio per l’interesse generale del Paese. Questo, a mio avviso, è il punto centrale della questione. I disegni di legge presenti e gli stessi dibattiti che si sono sviluppati in materia non considerano (o  non vogliono considerare?) i destinatari a cui è rivolta l’attività di lobbying. Ancor prima dei lobbisti, non dovrebbero essere gli stessi decisori pubblici ad essere trasparenti, rispettosi di un codice di condotta ed efficienti? La regolamentazione dell’attività di lobbying non è il presupposto della trasparenza del processo decisionale, ma, se mai un’inevitabile conseguenza.

I lobbisti , rappresentando gli interessi particolari dei loro committenti, aziende associazioni di categoria e chiunque riesca a partecipare al processo decisionale, compiono il proprio dovere. Un buon lobbista  cerca di dimostrare attraverso documentazioni, dati, studi, che gli interessi di cui è portatore non solo sono legittimi, ma che possono contribuire all’interesse generale. Spetterà poi al legislatore bilanciare i differenti interessi coinvolti e trovare una sintesi maggiormente condivisibile.

Il processo decisionale dovrebbe essere non solo più trasparente, ma anche più partecipativo. Le Istituzioni dovrebbero consentire a tutti i soggetti qualificati e competenti di partecipare al processo di formazione delle norme attraverso l’accesso agli atti e ad apposite procedure di consultazione. Fino a quando solo a pochi sarà consentito l’accesso alla stanza dei bottoni, fino a quando avere il numero di cellulare sarà il modo più sicuro per incontrare i politici, fino a quando si dovranno fare salti mortali per consultare una bozza di testo normativo, non credo che le cose potranno migliorare significativamente.

È fondamentale che sia regolamentata l’attività di rappresentanza di interessi, che vengano definite norme di condotta e che siano previste formazione e qualifica specifica, ma prima, o quanto meno contemporaneamente, è necessaria una maggiore trasparenza e professionalità della Pubblica amministrazione da cui ne deriva inevitabilmente un maggior controllo e indipendenza.

Vanno in  questo senso gli articoli 4 “Procedure di consultazione” e 5 “Diritti e doveri dei portatori di interessi particolari” del Decreto Lobby del ministero dell’Agricoltura citato all’inizio, che disciplinano una procedura obbligatoria di consultazione per l’emanazione dei provvedimenti ministeriali oltre che la possibilità, per i rappresentati registrati, di presentare ulteriori proposte e studi. Lo stesso dicasi per gli articoli 6 “Diritti degli iscritti nel Registro” dei ddl C5084 e C5013 che, oltre a prevedere le modalità di accesso presso le istituzioni (elemento comune a tutti i ddl presenti in Parlamento), disciplinano una procedura per poter partecipare al processo decisionale e poter presentare proposte. Credo che si debba fare uno sforzo in questa direzione e definire, in tutti i processi decisionali, delle procedure di partecipazione tali da garantire: la celere approvazione di norme ampiamente condivise ed efficaci; la trasparenza degli interessi coinvolti; il controllo e l’indipendenza dei decisori pubblici. Un punto su cui forse ci sono non poche resistenze e che difficilmente potrà cambiare con un semplice disegno di legge. Perché non pensare allora ad un efficace strategia di lobbying a 360 gradi da parte di tutta la società, in primis da parte dei lobbisti (professionisti)?

fonte: leggioggi.it 3/12/2012