Una mattina di settembre a Milano la polizia ha rimosso un manichino in un parco; era impiccato a un albero e aveva sopra delle scritte contro un’azienda che si chiama Uber. Fino a qualche tempo fa, una definizione sintetica ma esaustiva di Uber sarebbe stata: società di trasporto privato basata su un’app per smartphone che mette in contatto direttamente clienti e autisti; fa concorrenza ai tassisti che per questo la detestano, da qui le proteste e i manichini impiccati. Oggi le cose sono molto più frastagliate. Uber sta estendendo i suoi servizi in nuovi settori, e molte altre aziende stanno sparigliando le carte in una moltitudine di mercati, come ha fatto Uber coi taxi: alcune hanno avuto successo all’estero e presto arriveranno anche in Italia, altre sono già qui. Sono – sperano di essere – i nuovi Uber: forse non genereranno altri pupazzi appesi, di certo ne discuterete animatamente a cena.
Già adesso Uber non è più soltanto un servizio taxi più comodo. A un certo punto, negli Stati Uniti, per un’intera giornata Uber ha istituito un servizio gattini. Aprivi l’app e chiedevi che una macchina ti portasse un gattino in cerca di una famiglia adottiva; loro te lo portavano e lo lasciavano con te per 15 minuti. Alla fine se volevi potevi adottarlo, se no sarebbe tornato al gattile locale.
La storia circolò moltissimo – Uber più gattini, nel 2014 nessun sito di news potrebbe chiedere di meglio – ed era esemplare, perché come avrete capito non si parla soltanto di gattini. Invece che muovere soltanto le persone, le macchine di Uber stanno iniziando a muovere tutto. Come dei pony express, però con la semplicità d’utilizzo di Uber. Già adesso in alcune città Uber si occupa della lavanderia: ritira i vestiti sporchi e te li porta il giorno dopo puliti dove vuoi, appoggiandosi a società come Washio o Mamaclean. Altro esempio: per una giornata negli Stati Uniti è stato possibile ricevere a casa via Uber il vaccino anti-influenzale. L’evoluzione di Uber – che investitori ed esperti considerano l’Amazon di questo decennio – e la quantità di investimenti che è riuscita a raccogliere lasciano pensare a una prossima quotazione in Borsa. Loro sanno di essere grandi e grossi e si comportano come tali: i loro uffici ricordano quelli di Goldman Sachs (che è un loro investitore), piuttosto che quelli di una startup californiana; i loro dirigenti fanno gli squali con la concorrenza e con la stampa, che a volte viene guardata storto anche durante un semplice giro degli uffici. Di tanto in tanto questa sfrontatezza genera guai: di recente una battuta scema e minacciosa del vicepresidente Emil Michael, che alludeva alla possibilità di iniziare una specie di operazione di “dossieraggio” contro i giornalisti ostili, ha costretto alle scuse il Ceo Travis Kalanick e portato cattiva pubblicità a un’azienda che è già accusata di essere aggressiva e spregiudicata.
Se pensate che Uber sia controversa, aspettate che arrivi in Italia anche Lyft. Gli autisti di Lyft non sono professionisti, bensì persone normali che, dopo aver superato alcuni controlli di base, decidono di scarrozzare gente da una parte all’altra della città per un pezzo della loro giornata. A San Francisco e a Los Angeles l’azienda ha anche iniziato a sperimentare un servizio che si chiama Lyft Line: auto che fanno percorsi e fermate semi-fisse e su cui si può salire dopo una prenotazione via app, pagando pochi spiccioli. Insomma Lyft sta rifacendo gli autobus: ma meglio. È tutto molto amichevole e informale: gli americani dicono che Lyft è per quelli che quando vanno in taxi vogliono parlare con il conducente, al contrario di Uber. Quando sali in macchina l’autista ti saluta con un fist bump: ti porge il pugno. Poi ti fa sedere sul sedile anteriore e ti offre da bere. Il simbolo di Lyft è un paio di baffoni fucsia; gli uffici di San Francisco hanno un paio di stanze segrete nascoste dietro grandi quadri. È Uber per gli hipster. E, come Uber, non ha una sua vera flotta: salvo alcune eccezioni, queste aziende non hanno merci, capannoni, negozi. Ridotte all’osso, sono marketplace: piattaforme che permettono a chi vuole offrire un servizio di mettersi in contatto con chi ne ha bisogno, grazie a standard e regole comuni. L’espressione sharing economy, con cui di solito si fa riferimento a queste aziende, è fuorviante: queste società raccolgono milioni di dollari di investimenti e vogliono fare profitti rimuovendo gli intermediari tra produttori e consumatori, trasformando ogni persona in un potenziale piccolo imprenditore di se stesso. È libero mercato puro: l’Ubercapitalismo.
Prendete MonkeyParking, per esempio, fondata da tre ragazzi italiani: un’app che permette di “comprare” un parcheggio per pochi dollari da chi ne sta liberando uno. Non si può vendere un parcheggio pubblico, certo: quelli di MonkeyParking dicono – in inglese perfetto con lieve accento romano – che è l’informazione a essere venduta, che un limite di transazioni quotidiane impedisce utilizzi fraudolenti del servizio e che di norma chi “compra” un parcheggio per la sua auto attraverso l’app poi incassa più o meno la stessa la cifra quando libera il suo posto, rimettendo in circolo le risorse. Un altro settore che potrebbe essere presto stravolto è la ristorazione. EatWith è già presente in Italia e permette di fare di casa propria un ristorante. Ci si iscrive al sito, si descrive il menu che si vuole offrire e si fissa un prezzo: chi vuole può prenotare online, arrivare a casa del “cuoco”, cenare, e poi il giorno dopo scrivere una recensione a uso degli altri futuri potenziali avventori. Naama Shefi, giovane dirigente della società, dice che il servizio è adorato soprattutto dai turisti che cercano di evitare ristoranti ed esperienze “per turisti”. Una volta capito il meccanismo, è facile capire come queste aziende possano invadere e scombinare più o meno qualsiasi settore. Fitmob è una società di palestre senza palestre: gli istruttori lavorano come freelance e organizzano lezioni all’aperto o comunque in luoghi pubblici; i clienti possono iscriversi a una singola sessione oppure pagare un abbonamento per accedere a tutte quelle che vogliono.
Titolo originale Uber e le sue sorelle capitaliste
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-12-20/uber-e-sue-sorelle-capitaliste-113123.shtml?
Questa prospettiva è csemplicemente allucinante.
Evviva il progresso. ..io mi trasferisco nella foresta amazzonica con gli yanomami
Qualche giorno fa qualcuno mi diede del coglione. Bene, ora caro signor “qualcuno” rileggi questo articolo e poi rileggilo un’altra volta e dimmi se non siamo dei morti che camminano. La cosa buona di questo fermento isterico di new economy è che i governi di tutto il mondo dovranno intervenire anche pesantemente per evitare il caos e l’anarchia totale. Potrebbe essere anche l’inizio della fine.
Basaglia, non ha capito un ca..o: i manicomi non andavano chiusi, ma raddoppiati!!!
Questo blog é avanti anni luce sulle scienze sociali nella comprensione dell’evoluzione in senso schavistico del lavoro, resa possibile dalla disponibilità di masse di disperati nei paesi avanzati. Il turbocapitalismo che torna alle origini. E sono cazzi nostri.
Ho deciso: Vado all’estero (perchè l’iva è più bassa) ad acquistare un mezzo a tre ruote allestito tipo tuk tuk. Torno in italia e mi metto a trasportare persone, naturalmente senza nessuna licenza e facendomi pagare in nero. Mentre sono al lavoro e la casa è vuota, l’affitto a cani e porci, sempre completamente in nero, e la sera quando torno mi metto ai fornelli e mi faccio pagare come un ristoratore. Ovviamente senza uno straccio di scontrino o ricevuta fiscale. Se mi beccano dico che i trasportati sul tuk tuk sono miei parenti e i soldi che mi danno sono un rimborso benzina. Idem per coloro che ceneranno a casa mia, mi appellerò al senso dell’ospitalità di noi meridionali dicendo che nessuna legge m’impedisce di accogliere gente presso il mio umile desco…ah, se poi qualcuno volesse anche una compagnia femminile per la notte, gli procurerò una donnina allegra spiegando che non si tratta di sfruttamento della prostituzione, ma di usanze apprese durante un periodo trascorso insieme agli eschimesi. In più, avendo un mezzo a tre ruote, durante l’estate mi metterò a vendere gelati autoprodotti, naturalmente in casa, senza alcun rispetto delle norme igieniche…tasse? Fisco? Licenze? Servono ancora in questo paese? Va beh, se proprio insistete, aprirò una sede fiscale in Burundi!
Pablo e’ l’ “U…capitalismo”…ti devi adeguare..dinosauro corporativo Che nn sei altro!!..modernizzati e nn frignare :-)…
Come al solito create allarmismo, si annienteranno tra di loro come sta succedendo con i vary car two go,noi certo non abbassiamo la guardia, ma sicuro adottero’ il proverbio cinese che tutti conoscono… siediti sulla riva del fiume,e aspetta che passi il cadavere del tuo nemico. Buon natale a tutti!
Pablo,
ma perchè tutto sto sbattimento….
Sul Tuk-Tuk quando porti in stazione o in aeroporto qualche cliente (pardon amico) chiacchierando ti fai dire quanto tempo si assenterà da casa. Poi con tutta calma e qualche “risorsa extracomunitaria” a dar manforte, attrezzati di tutto punto, una bella visitina nell’abitazione del malcapitato…….
Diciamo che è sharing economy anche questa, o no?