ilsole24ore.com L’industria tecnologica barcolla, ancora una volta, sulla sicurezza dei dati. Mentre lo scandalo Cambridge Analytica che ha messo al muro Facebook continua a risuonare da Washington a Bruxelles, un nuovo datagate coinvolge un altro titano della Silicon Valley: Uber. Da una nota diffusa in queste ore dalla Federal Trade Commission statunitense, infatti, emerge un importante data breach che coinvolge un imprecisato numero di driver. Cittadini i cui dati (dai nomi all’indirizzo mail e al numero telefonico) sono stati violati nel corso del 2014, senza che Uber denunciasse il fatto. Un episodio che fa discutere, anche perché l’azienda con sede a San Francisco è recidiva.
Uno scandalo simile era già scoppiato lo scorso anno, quando sempre la Federal Trade Commission si trovò ad indagare sulla violazione dei dati di oltre 57 milioni di utenti, risalente al 2016. Anche in questo caso Uber non denunciò il fatto. Anche per questo le parole di Maureen Ohlhausen, presidente della Ftc non sono all’insegna della comprensione: «Dopo aver ingannato i consumatori in materia di privacy e sicurezza, Uber ha aggravato la sua cattiva condotta, non comunicando alla Commissione di aver subito un’altra violazione dei dati».
Oltre 25 milioni di contatti violati nel data breach del 2016
La Ftc e Uber hanno comunque siglato un settlement, e il responsabile dell’ufficio legale di Uber, Tony West , sì è detto «lieto che a pochi mesi dall’annuncio dell’incidente» sia stata trovata «una rapida soluzione con l’Ftc».Se circa le “nuove” violazioni del 2014 non sono emersi ulteriori particolari (è probabile che escano nei prossimi giorni), dalla nota della Ftc emerge tutta la portata del data breach del 2016: in quell’occasione le informazioni violate riguardano i dati personali non crittografati appartenenti a utenti, con questa suddivisione: 25,6 milioni di nomi e indirizzi email, 22,1 milioni di nomi e numeri di telefono e 607 mila nomi e numeri delle patenti di guida. Relativamente a questo attacco Uber cercò di nascondere l’accaduto pagando un riscatto di 100mila dollari agli hacker responsabili dell’attacco.
La spirale negativa di Uber
Sul 2014, invece, si sa ancora poco. Ma è evidente che il caso vada a posizionarsi nella lunga lista nera che riguarda Uber. L’azienda è alle prese con un restauro della propria immagine, dopo episodi poco qualificanti che ne hanno minato il lustro. Fino a qualche tempo fa, del resto, Uber era considerata a tutti gli effetti un modello di successo per le startup di mezzo mondo. Poi la rapida successione di alcuni scandali ha travolto l’azienda, portando alle dimissioni del Ceo e fondatore Travis Kalanick. Il nuovo ad è Dara Khosrowshahi, e sta cercando in tutti i modi di ripulire Uber dagli scheletri del passato. Questo ennesimo data breach non lo aiuta. E forse, ancora una volta, la mancata quotazione in borsa è un sospiro di sollievo.
La m… viene sempre a galla ed è giusto così.
Se le persone si svegliassero capirebbero quanta porcheria c’è dietro alle applicazioni, non solo per i tassisti!
È incredibile che le persone si preoccupino dei dieci centesimi in più o in meno del caffè, lavorino fino a morire x qualche spicciolo, siano sempre pronte a seguire il ducetto di turno e non badino alla propria sicurezza elementare. Il problema è che pochi sembrano aver compreso che in un mondo digitale i dati sono tutto e la privacy è il brandello di libertà che ti resta.