“Le chiusure per decreto non si discutono – spiega la Cgia -, ma è altrettanto doveroso intervenire affinché gli operatori che sono costretti a chiudere l’attività per decreto vengano aiutati economicamente in misura maggiore di quanto è stato fatto fino ad ora. Altrimenti, rischiano di chiudere definitivamente i battenti”.
Circa 200 miliardi le perdite in capo a chi ha chiuso – Per le imprese che hanno subito i contraccolpi più negativi della crisi, ovvero quelle che hanno dovuto chiudere per decreto, i ristori erogati dall’esecutivo hanno raggiunto un livello medio di copertura del calo del fatturato di circa il 14,5%. Le misure di sostegno al reddito approvate dal governo Conte, infatti, sono andate in larghissima parte alle attività che hanno registrato un crollo del giro di affari di almeno il 33% rispetto al 2019.
L’Ufficio studi della Cgia, infatti, stima che dei quasi 423 miliardi di riduzione del fatturato registrata nel 2020 (pari ad una contrazione del -13,5% rispetto l’anno prima), almeno 200 miliardi sarebbero ascrivibili alle imprese dei settori che sono stati costretti a chiudere per decreto.
“Necessario passare dai ristori ai rimborsi” – “E’ necessario passare dai ristori ai rimborsi – prosegue la Cgia di Mestre -. E’ evidente che è necessario un cambio di rotta: i ristori vanno sostituiti con i rimborsi. In altre parole è necessario uno stanziamento pubblico che compensi quasi totalmente sia i mancati incassi sia le spese correnti che continuano a sostenere. La stessa cosa va definita anche per i settori che seppur in attività è come se non lo fossero. Segnaliamo, in particolar modo, le imprese commerciali ed artigianali ubicate nelle cosiddette città d’arte che hanno subito il tracollo delle presenze turistiche straniere e, in particolar modo, il trasporto pubblico locale non di linea (taxi, bus operator e autonoleggio con conducente) che sebbene in servizio hanno i mezzi fermi nelle rimesse o nei posteggi”.