Siamo cinquemila tassiste in Italia, qui di seguito la nostra lettera aperta: a politici, media, istituzioni. Da giorni rileviamo una morbosa attenzione, quasi fossimo parte della campagna elettorale, verso le lavoratrici e i lavoratori del settore taxi, attraverso la strumentalizzazione di una serie di questioni. I temi usati sono quasi sempre una ipocrita idea di concorrenza, e una presunta mancata disponibilità del Pos, fomentando così quella che rischia di trasformarsi in una campagna di odio sociale nei confronti di un’attività dove è primariamente il fattore sicurezza ad essere quello maggiormente vulnerabile. Lo diciamo anche da donne, lavoratrici, mamme: legate e legati da una cintura di sicurezza, con alle spalle uno sconosciuto, su un’auto in movimento, questa attività ti rende, come poche altre, vulnerabile. I quattro omicidi sul lavoro subiti nell’ultimo decennio, così come le quotidiane aggressioni, violenze verbali, insolvenze fraudolente, che il settore registra, solo in minima parte denunciati dai diretti interessati per la difficoltà a far valere i propri diritti, sono lì a dimostrarlo.
Rimaniamo esterrefatte dal livello di superficialità con cui opinionisti vari, non colgano che le loro irresponsabili, incompetenti e strumentali generalizzazioni, creino un odioso clima di caccia alle streghe contro di noi. Circa la concorrenza, questi signori pretenderebbero di metterci in concorrenza con chi non abbia le nostre stesse regole di servizio, non spiegando che loro in realtà stanno proponendo una concorrenza sleale a favore di alcuni vettori da far sfruttare alle multinazionali, ed in sfavore dei taxi. Il tutto per smantellare un servizio pubblico che tra l’utenza ha indici di gradimento superiori all’80%, grazie alla qualità prodotta da piccoli imprenditori artigiani organizzati in cooperative: si sa, a certuni queste realtà che godono di tutela costituzionale, non piacciono; piacciono invece le multinazionali!
C’è poi la questione pos. Se un tassista non ne dispone, invece che denunciarlo alla cooperativa di appartenenza, ai competenti organi comunali, finanche alle autorità di polizia, arriva l’articolo, il post o il video dell’opinionista o influencer di turno, più mosso dalla volontà di ricercare visibilità a costo zero, piuttosto che giustizia. Il tutto senza mai specificare quale sigla taxi o numero di licenza lo abbia leso in un proprio diritto, e così partecipare al “gioco” del momento: tirare fango su una delle poche categorie che ancora lotta per il proprio lavoro. Peccato che per noi non sia un gioco, ma il lavoro quotidiano con cui espletiamo un servizio per la comunità, e con cui portiamo il pane a casa.
Oggi quasi tutte le corse vengono pagate tramite carte elettroniche, ed infatti è piuttosto improbabile trovare un taxi aderente a compagnie radiotaxi (ossia oltre il 90% di tutti i taxi) senza pos: dunque, riteniamo davvero improbabile che questi signori e signore trovino con tanta frequenza un taxi senza pos; fra l’altro, il taxi è pagabile in molti casi con app, carte prepagate, buoni elettronici o cartacei (tutti strumenti tracciati). In ogni caso, in Italia si è deciso di renderlo obbligatorio, nonostante rappresenti un costo per i lavoratori autonomi e generi entrate per banche private, dunque è giusto che venga denunciato il colpevole di turno, non intere categorie.
Quindi, giornalisti e giornaliste, influencer vari e varie, vi richiamiamo ad un maggior senso etico e responsabilità. Avete uno strumento potentissimo in mano, usatelo con coscienza, perché voi siete dietro un monitor, noi tra i pericoli della strada!