Ci furono le tute blu con la rapina di via Osoppo, ci fu la banda Cavallero, ci furono i fratelli pugliesi Tiritiello con “il tigre” Franco Maffoni poi i Marsigliesi organizzati e spietati, ma soprattutto ci fu la Milano di Francis Turatello forse l’unico vero Boss della storia Meneghina; Bello, elegante, intelligente e mai banale, il giovane Francis cresce a Lambrate tra piccoli furti e prepotenze che, abbinate ad una fisicità imponente e ad una ferocia senza pari, in poco tempo lo portano ad imporsi nel giro della prostituzione e delle rapine.
Cresce senza padre Francis, o almeno così sembra (perché le cronache e le voci “che contano” lo vogliono figlio naturale, anche se non riconosciuto, del celeberrimo Frank “tre dita” Coppola), personaggio di spicco e soprattutto Boss di quella mafia attiva sia al di qua che al di là dell’oceano.
Un’eredità che non si ferma agli occhi chiari e alla determinazione ma anche alle entrature che da tale padre fanno brevemente del giovane appunto un Boss che forte di centinaia di uomini ai suoi ordini, riesce ad imporre il suo dominio su attività legali ed illegali che fioriscono quotidianamente nella Milano dei “danee” e della finanza.
È un leader Francis, comanda e soprattutto può permettersi di guardare negli occhi quella mafia siciliana che, dopo Joe Adonis, ha cercato di impadronirsi della capitale lombarda.
Orfani di Luciano Liggio, arrestato a metà degli anni 70 in un condominio residenziale di via Ripamonti, palermitani e corleonesi devono lasciare spazio e potere a quello che è ormai il Boss di Milano.
Gestisce in maniera occulta night club e ristoranti assieme a Lello Liguori, imprenditore e proprietario del Covo di Santa Margherita Ligure e dello Studio 54, con il quale apre eleganti casinò clandestini la cui clientela è in gran parte composta da borghesi e imprenditori con i quali partecipa a business immobiliari e non (la madre di Turatello abiterà per anni in un bellissimo appartamento di Milano 2) che in quegli anni a Milano hanno la benedizione della nuova politica socialista che a breve arriverà non solo al vertice di palazzo Marino ma addirittura al vertice dell’Italia intera.
È una storia che si dipana in fretta quella del bel Francis “Faccia d’angelo”, una storia di gangsterismo e potere messo in discussione da due soli contendenti, colui che, nell’immaginario collettivo è rimasto il bandito per antonomasia ovvero quel Renato Vallanzasca, che a capo del “mucchio selvaggio” della Comasina saprà mettere a ferro e fuoco l’Italia intera, e dal suo ex gregario Angelo Epaminonda, prima suo uomo di fiducia e poi suo traditore.
Sarà proprio Epaminonda (non a caso Siciliano) ad esurpare l’impero di Turatello dapprima facendolo arrestare e poi, dopo qualche anno di carcere, a decretarne la morte in accordo proprio con quella stessa mafia che dopo la sua carcerazione si volle riprendere Milano.
La storia di Francis Turatello finisce il 17 agosto 1981 nel cortile N. 4 del carcere Nuorese di Bad e Carros quando, per ordine di quegli stessi padrini a cui aveva sottratto Milano, viene macellato con cinquanta coltellate da quattro killer condannati all’ergastolo: gli anni 80 sono da poco iniziati e in quella che è ormai pronta ad essere “la Milano da bere” non ci sarà più spazio né per le libere gang né per le bische e neppure per Re autoctoni come il Francis dalla “faccia d’angelo”, bello, elegante e spietato come nessun altro.
Con la morte di Turatello, con le condanne all’ergastolo di Vallanzasca e la sua banda e con il pentimento e la collaborazione di Angelo Epaminonda, si chiuderà per sempre, dopo l’epoca della Ligiera, anche quella della Mala milanese il cui posto verrà occupato e spartito da Mafia, Camorra e Ndrangheta.
di Davide Pinoli -seconda parte -segue…