La talpa di Uber al Parlamento europeo

it.euronews.com “Uber pagava i ricercatori accademici per utilizzare set di dati distorti, per produrre statistiche favorevoli alla nostra posizione. Ad esempio, i numeri mostravano guadagni elevati degli autisti, perché non tenevano in considerazione il tempo che questi aspettavano tra una corsa e l’altra”. Arrivano al Parlamento europeo le verità di Mark MacGann, ex capo lobbista della società di noleggio con conducente statunitense e talpa principale dei cosiddetti Uber files, una serie di documenti e intercettazioni confluite nell’inchiesta giornalistica internazionale del consorzio ICIJ, che hanno dimostrato l’ampia rete di lobbying al limite della legalità dell’azienda.

Uber oltre le regole
L’attività di pressione sui decisori politici è cosa nota e di per sé legale a livello europeo. Le aziende dei vari settori tendono a organizzarsi in gruppi omogenei per spingere i legislatori a modificare a proprio vantaggio le regole.  A quelle che operano sulle piattaforme digitali le risorse non gli mancano: Uber ad esempio ha aumentato il budget di lobby  da 50.000 a 700.000 euro negli ultimi otto anni. La società statunitense ha agito in modo audace e irrispettoso, ha spiegato Mark MacGann in un’audizione all’Eurocamera, organizzata dalla Commissione parlamentare per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo.

“Quando i politici hanno cercato di fermarci o rallentarci, abbiamo cooptato la democrazia stessa, facendo leva sul potere politico dei consumatori, esercitando pressioni molto forti sui funzionari eletti affinché indietreggiassero, annegandoli in milioni di petizioni di conducenti.  Abbiamo usato i nostri autisti e i nostri clienti come un’arma”.

Uber si è praticamente arrogata il diritto di intavolare un negoziato con quegli enti che avrebbero dovuto regolare il suo raggio d’azione. “Abbiamo detto ai politici che saremmo stati d’accordo a sospendere il controverso e illegale servizio UberPop, se avessero cambiato la legge come volevamo noi”, racconta pentito MacGann.

Tra i politici coinvolti negli Uber Files ci sono nomi di spicco, tra cui quello dell’ex commissaria all’agenda digitale Neelie Kroes, sul cui caso sta indagando l’Ufficio anticorruzione europeo. Ma anche Emmanuel Macron, allora ministro dell’economia francese.

Le preoccupazioni dei sindacati
I diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali intanto restano al centro del dibattito a livello europeo: lo scorso dicembre la Commissione ha presentato una direttiva sul tema, che dovrà ora essere esaminata e modificata da Consiglio e Parlamento. E I sindacati sono molto preoccupati per l’influenza sulle istituzioni delle aziende del settore.

Una manifestazione davanti al Parlamento di Bruxelles ha riunito diversi rappresentanti sindacali europei, ma anche conducenti e rider delle piattaforme digitali, come la stessa Uber, Bolt o Deliveroo.

“Gli Uber  files hanno svelato le strategie dell’azienda per non rispettare le regole, i contatti avuti con i politici e le pressioni per evitare una legislazione contro i loro interessi” dice a Euronews Ludovic Voet, Segretario della Confederazione europea dei sindacati.

Ai politici europei chiedono di non farsi condizionare e di procedere seguendo l’obiettivo della direttiva: riclassificare come lavoratori dipendenti coloro che tramite piattaforme digitali sono soggetti a condizioni di lavoro di subordinazione.

I sindacalisti non si dicono contrari in toto al fatto che un rider o un autista siano lavoratori autonomi, a patto che vengano rispettate le caratteristiche di questo inquadramento contrattuale: mancanza di orari, di ordini dall’alto e totale libertà di scegliere i propri committenti. Condizioni difficili da garantire agli autisti di Uber.


Interessante questo articolo: https://www.icij.org/investigations/uber-files/we-co-opted-democracy-uber-files-whistleblower-tells-european-parliament/