Elogio della lentezza

Il problema di che cosa sia davvero la tecnica e quale sia il suo rapporto con l’essere umano, e quindi con il mondo abitato dall’essere umano, attraversa tutta la storia della filosofia, ma diventa centrale negli anni trenta del secolo scorso, quando quasi in contemporanea appaiono il saggio di Martin Heidegger “L’epoca dell’immagine del mondo” e il cartone animato “L’apprendista stregone” di Walt Disney. Se già la prima guerra mondiale con le sue carneficine aveva fatto piazza pulita di ogni ingenua idea di un progresso sempre buono e della tecnica come mera strumentalità – mezzo per raggiungere un fine – la produzione delle fabbriche della morte di massa naziste, i campi di sterminio, ha reso addiritura diabolica la sola idea che la tecnica e la sua ancella fedele, la tecnologia, siano in sè neutre. Il fatto è che una volta che viene introdotto nel mondo qualcosa come la catena di montaggio nessuno può garantire che Hitler non la utilizzi a modo suo. Così l’atomica o l’informatica per fare due esempi più recenti. Tu guardi su google chi diavolo è questo Heidegger e un altro nello stesso istante ti sposta un trilione di trilioni di euro e crea un milione di disoccupati, che ancor non sanno di esserlo, con un semplice click. Ecco perchè questa faccenda ci riguarda da vicino, anche se noi non desideriamo altro che farci i fatti nostri e tendiamo a credere che il mondo sia sempre lo stesso e che non ci sia in fondo nessuna differenza fra il nostro nonno e il suo nipotino tassista.

E in effetti sotto alcuni aspetti non c’è n’è poi così tanta. I tassisti sono un pò dei residui preistorici,  premoderni per essenza, con buona pace di chi usa Zello, Facebook e parla un gergo incomprensibile, e come ben ha capito il governo tecnico dei tecnici che come prima cosa, non ancora insediato, ha subito cercato di farci fuori. E a ragione. Noi infatti invece di gettare la gente in mezzo alla strada, la raccogliamo addiritura dalla strada e la portiamo da un posto all’altro, creando un disordine continuo che ostacola il mondo ordinato che essi, i tecnici, fanno tanti sforzi per creare. E’ vero che. non usiamo più carri trainati da buoi o carrozze mosse da cavalli con pennacchi, ma automobili con motori a scoppio anch’essi sull’orlo dell’estinzione, ma in fondo non siamo altro che dei vetturini. Siamo più veloci, ma molto meno poetici: mentre loro portavano a spasso per i boulevard alberati amanti focosi che consumavano improvvise passioni in carrozza, come Di Caprio sul Titanic, ma con meno freddo, noi per lo più trasbordiamo noiosi impiegati seriali armati di smartphone e Ipad che ci annoiano mortalmente con le loro conversazioni servili. Quanto all’avventura, ci sono alcuni passeggeri che  magari parlano strani idiomi  a risvegliare ancora  la nostra adrenalina, specialmente quando scema la luce del giorno, ma spesso, per fortuna, le scene di lotta che ci prefiguriamo con terrore ma anche con un certa vitalità, non tovano poi una realizzazione conseguente. La nostra tanto celebrata libertà infine non è molto invidiata in tempi di recessione: meglio un tradizionale padrone e la malattia e la liquidazione e l’assicurazione sanitaria e il taxi pagato che lavorare sabato,  domenica e perchè no Natale e Capodanno, chissà mai che non ci liberalizzIno.

Siccome facciamo un mestiere solitario, ogni tanto abbiamo anche bisogno di raccontarcela un po’, di sentirci comunità, soli ma insieme agli altri simili a noi. E così anzichè limitarci alle chiacchere ai posteggi o al fast food, come De Niro in “Taxi driver“,  abbiamo persino inventato un blog. Che ha un merito: al di là delle intenzione dei suoi inventori e delle  frenesie tecnologiche che ogni tanto ci fanno sorbire, ci costringe a leggere e ancor più a scrivere che non è la stessa cosa di parlare. Per scrivere bisogna tacere e magari pensare alle parole, anzichè buttarle fuori a ritmo continuo. La scrittura insomma è anch’essa premoderna in quanto tale, che si usi la penna,  la macchina per scrivere o il pc, che resti impressa sulla carto o sullo schermo, o è lenta o non è. E’ per questo che l’uomo la pratica da 5000 anni e che la sua lentezza resiste a tutti i governi tecnici del mondo e persino alla frenesia acefala in cui siamo “gettati” come avrebbe detto forse il buon Heidegger che tanto buono poi non era.