rassegna.it Al via a Bali la ministeriale dell’organizzazione mondiale del commercio. Cgil e Fairwatch: “Bloccare il programma di liberalizzazioni che hanno avuto impatti distruttivi sui livelli occupazionali e sui diritti ambientali e sociali in molti paesi“
Con il discorso di apertura di Susilo Bambang Yudhoyono, presidente dell’Indonesia, uno tra i Paesi emergenti nel nuovo ordine economico mondiale, si inaugura a Bali la nona Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Diversi i capitoli sul tavolo negoziale, dalle facilitazioni nell’ambito doganale e degli scambi internazionali all’annosa questione agricola, passando per le richieste che i Paesi in via di Sviluppo hanno nuovamente posto all’attenzione del mondo, come il tema dello sviluppo, dell’accesso al mercato e del cotone.
Ma la sostanza di questa nona Conferenza sta nel superamento dell’empasse che oramai da 12 anni blocca il negoziato del Doha Development Round, il ciclo negoziale che dal 2001, in Qatar, anima le delegazioni governative di tutto il mondo. Allora, i paesi sviluppati accettarono di mettere il tema dello sviluppo come obiettivo delle politiche commerciali, ma i comportamenti negoziali seguenti, la spinta incessante alle liberalizzazioni, l’esplodere, infine, della crisi finanziaria ed economica globale hanno moltiplicato le conseguenze negative di accordi di libero scambio che hanno avuto impatti distruttivi sui livelli occupazionali e sui diritti ambientali e sociali in molti paesi, al sud come al nord del pianeta.
La società civile italiana è a Bali con Tradegame, l’Osservatorio sul Commercio internazionale promosso da Cgil, Arcs-Arci, Fairwatch e Legambiente e che da quasi un anno monitora e informa sui trattati multilaterali e bilaterali di liberalizzazione e sui loro impatti sociali ed ambientali.
“Sarebbe utile un esito positivo di questa ministeriale, per rilanciare il ruolo dei negoziati multilatrali” dichiara Leopoldo Tartaglia, coordinatore del dipartimento Politiche Globali della Cgil, “ma questo sarà possibile solo rispondendo alle giuste richieste dei paesi meno sviluppati e alla necessità di consentire il diritto al cibo e la sovranità alimentare, di fronte a popolazioni spinte alla povertà e alla fame dalla speculazione sui prezzi alimentari”. “Il sindacato mondiale – continua Tartaglia – insiste sulla trasparenza dei negoziati, sulla valutazione preventiva degli impatti sociali, ambientali e sui posti di lavoro di ogni accordo, sulla centralità della creazione di posti di lavoro dignitoso e di scelte improntate allo sviluppo sostenibile e alla difesa dei servizi pubblici e dei beni comuni”.
“La nostra presenza a questa Conferenza Ministeriale” sottolinea Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch, “ci permette un lavoro di lobby con le nostre reti internazionali per tentare di fermare un programma di liberalizzazioni che avrà impatti pesanti a livello sociale ed ambientale nei Paesi del sud del Mondo come sulla nostra agricoltura e produzione di qualità. Ma ciò che realmente conta non è il lavoro tecnico, focalizzato sui singoli paragrafi dei documenti negoziali, sebbene sia importante ed ineludibile. La crisi che stiamo vivendo, economica, sociale ed ambientale, ci obbliga ad un salto di qualità nella nostra azione, è necessario un cambio di paradigma, uscendo dalle ricette fallimentari del libero mercato e ridando centralità ai diritti delle comunità e dell’ambiente”.
“Le tante realtà di movimento presenti, dai contadini de La Via Campesina ai pescatori indonesiani, dalle realtà dell’economia solidale ai sindacati mondiali” conclude Di Sisto, “ci mostrano come la risposta e l’alternativa a questo modello di sviluppo non possa arrivare se non dalle comunità e dalle persone colpite dalla crisi o dalle politiche di contrasto della crisi che sempre più ricalcano vecchie ricette sperequative e insostenibili”.
Io terrei come punto centrale la dignità del lavoro, da li poi si parte e qualunque direzione poi si prenda è sicuramente quella umanamente giusta.