La Repubblica – Confermate dalla Cassazione le condanne per Pietro e Stefania Citterio (14 anni al primo e dieci mesi alla seconda), i fratelli che insieme a un terzo complice, Morris Ciavarella, picchiarono brutalmente a Milano il dieci ottobre 2010 il tassista Luca Massari – morto per le lesioni dopo un mese di agonia – per punirlo di aver investito accidentalmente il cagnolino che portavano a spasso senza guinzaglio e che era fuggito sulla strada. Ad avviso della Suprema Corte – sentenza 35417 depositata ieri – l’aggressione di Massari è stata di “particolare brutalità”, e il movente dal quale ha preso le mosse “stravolge i più elementari valori umani (una vita umana per un cane)” e non lascia “alcuno spazio” per le richieste di sconti di pena avanzate dagli imputati. Dopo aver investito il cagnolino, il tassista si era subito fermato per scusarsi di non essere riuscito ad evitarlo ed era stato subito accerchiato “a grappolo” dai tre giovani. A carico di Pietro Citterio è stata confermata dalla Cassazione anche la condanna per minaccia grave e lesioni ai danni del fotoreporter dell’agenzia ‘Fotogramma’ Maurizio Maule, picchiato con un manico di scopa mentre fotografava l’auto incendiata di uno dei testimoni del pestaggio di Massari.
Il veicolo era stato dato alle fiamme dallo stesso Citterio che è stato giudicato responsabile dalla Prima sezione penale della Suprema Corte anche di questo reato. Maule dovrà essere risarcito, così come i familiari del tassista e l’Inail. Per quanto riguarda la posizione di Stefania Citterio, la Cassazione osserva che l’imputata “ha evitato” la condanna per omicidio volontario solo perché è stato troppo generico l’appello del pm contro la blanda condanna per minacce emessa dai giudici di primo grado che non avevano tenuto conto delle testimonianze che la indicavano come partecipante attiva del linciaggio. La Cassazione rileva che “i tre (i fratelli Citterio e il Ciavarella) si erano avventati sulla vittima con movente unico e con sovrapposizione concatenata di azione aggressiva, indice di sicuro accordo, sia pure insorto sul momento (e sul grido di Stefania ‘ti ammazzo’); l’azione finale del Ciavarella venne portata con mezzi dello stesso tipo di quelli usati dagli altri due (spinte, calci e pugni)”. Massari era stato raggiunto “con azione letale” dal Ciavarella – fidanzato della Citterio, condannato con rito abbreviato a 16 anni) – “quando già barcollava per i primi, ripetuti colpi inferti dai fratelli Citterio”. In quanto responsabile di “concorso anomalo nell’omicidio volontario, aggravato dai futili motivi”, anche Stefania Citterio è stata condannata a risarcire i familiari della vittima. Dalla Cassazione è stato così convalidato in pieno il verdetto di secondo grado emesso dalla corte di Assise di Appello di Milano che il 19 marzo del 2013 aveva accolto il ricorso delle parti civili aggravando, anche se ai soli fini risarcitori, la responsabilità dell’imputata.
Rammarico per il fatto che il pm , che pure e’ ricorso in appello , non lo ha fatto in modo incisivo. Un errore che ‘ servito alla “iena” a evitarsi una dozzina d’ anni dietro le sbarre. Resta il fatto che nel nostro bel paese le pene sono troppo miti. Una vita non può valere solo 16 anni. Massari non c e’ più e i suoi assassini che erano pure più giovani di lui a neanche 40 anni o poco piu’ saranno ancora tra noi. Non sarà certo qualche anno di carcere a farli cambiare. Io credo si al recupero del condannato ma solo dopo aver pagato il giusto e il giusto non sono 16 anni per una vita cancellata.
La gente del quartiere ha paura di loro – minacce di morte, auto bruciate – e 16 testimoni non se la sono sentita di presentarsi in tribunale. Alcuni hanno ritrattato, altri hanno presentato certificato medico. Uno di loro ha scritto una lettera rivolgendosi al pubblico ministero: “Avendo paura che succeda qualcosa a me e alla mia famiglia, non voglio testimoniare.” I quattro testimoni che si sono presentati al processo non vivono più lì.
Gente indegna che dovrebbe vedere la luce del sole dietro le sbarre per tutta la propria esistenza.
Colpa delle istituzioni che non reprimono adeguatamente il fenomeno del malaffare ma anche di chi convive con queste situazioni e non denuncia: vili!