Siamo o no tutti un po’ vittima del fascino della divisa? Forse si e forse no, soprattutto se intendiamo non più la divisa come un indumento, ma come uno "stato sociale" da subire o da assimilare.
Troppo complesso? Avete ragione! Partiamo dalla divisa in tessuto, quella che per esempio faceva impazzire le ragazze negli anni 50 (per il giovane marines, il tenente, il pilota, ecc.). Diciamo che per quei tempi la divisa costituiva un punto di arrivo per molte persone, spesso di umili origini, che grazie a un ruolo speciale nella società e grazie a quei vestiti ben confezionati, diventavano qualcuno agli occhi di molti. E’ finito il tempo in cui i ragazzi andavano a scuola con il grembiule e il farfallino rosa o azzurro , secondo se femminuccia o maschietto. E’ finito il tempo in cui gli impiegati di banca e i funzionari erano obbligati a indossare giacca e cravatta. E’ finito il tempo in cui alla Borsa di Milano era obbligatorio entrare con la cravatta. E’ finito il tempo dei Paolo Panelli, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi che nel ruolo dei "tassinari" indossavano il camicione e il berretto, eccetera eccetera. Perchè tutto questo sia finito, lo racconta la storia, una storia fatta di piccole e grandi conquiste che hanno decretato la fine di uno "stereotipo" talvolta anche mortificante, costruito semplicemente sull’apparenza e non sui contenuti.
Eppure da questa classe politica arrivano segni di modelli "retrò", annunci che suonano come "proclami" e oratori che somigliano a veri e propri "tromboni". E i quotidiani, autentiche grancasse mediatiche, amplificano, ammiccano e lodano.
Leggo per esempio che c’è chi sostiene che il tassista, dotato di divisa di prestigio, grazie a questa particolare dotazione potrebbe migliorare i propri rapporti non proprio idilliaci con i clienti milanesi.
Magari il cliente straniero potrebbe arrivare a dire "mmmhh che fichi questi drivers con queste magliette da figaccioni" e magari gli stessi drivers figaccioni non si sentirebbero inferiori se riuscissero a parlare un buon inglese con costoro.
Ho fatto un pochino di sarcasmo, scusate, ma ora divento serissimo:
"Il tassista è il primo biglietto da visita che lo straniero riceve una volta che esce da un aeroporto o stazione". Frase notevole e profonda, peccato che non risponda a verità. Il primo contatto gli stranieri (e anche molti italiani) ce l’hanno con soggetti che sussurrano in perfetto italiano "taxi fuori Milano…taxi fuori Milano" e talvolta sono anche vestiti benino, con giacca e cravatta. Sono gli abusivi , quelli che da tempo chiamo "i soliti noti" perchè ormai tutti sanno che faccia hanno tranne le loro povere vittime. Vivono e prosperano a margine di istituzioni che si palleggiano responsabilità e trovano molto più conveniente non fare nulla piuttosto che avere il fastidio di alzarsi le maniche e cominciare a fare sul serio.
Altrettanto seriamente dico che l’amministrazione locale, ben informata di questo fenomeno, glissa e delude in continuazione per non dimostrare la benchè minima volontà di affrontare il problema.
E allora sarebbe sufficiente dotare i tassisti di una divisa per distinguerli da quelli irregolari? Se così fosse risolveremmo tutta una serie di problemi nazionali in una sartoria!
Concludo con un pizzico di orgoglio: casomai volessimo rimanere al di sopra di questi vacui progetti, ricordo a tutti i colleghi che nessuno è in grado di farci sentire inferiori senza il nostro consenso.
Un commento
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Concordo con il tuo scritto. Puntuale come sempre.
Complimenti