Dalla Ligéra di Lutring al bell’Adonis -di Davide Pinoli (prima parte)

All’inizio era “ligera“, leggera al pari dei suoi componenti, banditi che agivano non armati in un contesto in cui senza nessuna forma di aggregazione la delinquenza era dedita al borseggio, al furto e alla truffa.  Era la Milano post bellica che non si occupava ancora di finanza ma dove c’era da ricostruire e riorganizzare tutto in un periodo lontano in cui il confine della città era delimitato da campagna, fontanili e da un tratto del fiume Olona allora scoperto, oggi tratto di corsia preferenziale dedicata ad autobus e taxi che va da piazza Stuparich fino a piazza Napoli.

Ligera, dunque, la vecchia mala milanese con un suo codice d’onore che utilizzava il coltello letale e silenzioso rifiutando quello spargimento di sangue che aumenterà negli anni a venire a causa del “gangsterismo” urbano, dell’arrivo delle mafie meridionali e soprattutto degli interessi legati a droga, prostituzione e gioco d’azzardo, attività che solo qualche decennio più tardi avrebbero prodotto un vertiginoso giro di denaro portando i banditi ad imbracciare le armi e senza remore ad utilizzarle.

In pochi anni la ligera di Ezio Barbieri, l’elegante re dell’isola che usava utilizzare per i suoi colpi una Lancia Aprilia targata MI 777, stesso numero in uso in quegli anni dalla Polizia (sette e sette e sette fanno ventuno, arriva la volante e non c’è più nessuno. cit. Porta Romana bella) o di Luciano Lutring, il famoso “solista del mitra” capace non solo di furti e rapine, ma anche di colpi a sensazione (come quando dopo aver passato la messa di mezzanotte in Duomo una volta riaccompagnata a casa la moglie tornò in Galleria per sfondare la vetrina di una pellicceria e portar uno splendido ermellino bianco, regalo di Natale per la sua amata Yvonne: uno dei tanti “lavori” da lui portati a termine prima che la polizia francese mettesse fine non solo alla sua latitanza ma anche alla sua carriera, soppiantata dalla delinquenza manageriale di importazione americana che agli inizi degli anni 60 andrà ad insidiarsi in un elegante appartamento dell’appena edificata Torre Velasca dove un altrettanto elegante ed ancor di più scaltro Italo americano chiamato Joe Adonis avrebbe gettato le basi non solo per la parte nera dell’imminente boom economico ma anche per quella che, ancor più iconica, sarebbe rimasta celebre nel tempo come la Milano da bere.

E’ una storia paradossale ed emblematica quella  di Joe Adonis (nato Giuseppe Doto a Montemarano, poverissimo paese nell’irpinia desolata di inizio 900), emigrato ancora infante assieme alla famiglia verso quella New York punto di approdo e di speranza di tanti “paisà”. Una storia, la sua, come le tante che hanno ispirato capolavori del cinema come IL PADRINO o C’era una volta in America, storie di violenza e sopraffazione che portarono il giovane Giuseppe (nel frattempo divenuto Adonis grazie al complimento di un’avvenente ballerina che, vedendolo varcare la porta del night in cui lavorava, esclamó ad alta voce “sei bello come un adone”) a scalare le vette del sindacato del crimine assieme a nomi celeberrimi come Frank Costello, Franky Nitti e Al Capone.

Braccio destro di Lucky Luciano, Adonis divenne uno dei pochi veri Boss non siciliani d’oltre oceano fino a quando proprio lui, intoccabile tra gli intoccabili, venne condannato ed espulso dagli States per un cavillo burocratico legato ad una falsa dichiarazione di nascita resa alla Corte Federale e per questo espulso come clandestino indesiderato, lui che con il passare degli anni era arrivato ad essere un vero e proprio ricchissimo manager del crimine; Probabilmente era questo il suo pensiero mentre dal ponte del Transatlantico Conte di Biancamano si apprestava a sbarcare a Genova in quella sua patria ritrovata che lo avrebbe visto organizzatore principe di business ancora a venire come la droga e bische clandestine.

Anni di grande lavoro, dapprima su e giù per la penisola e poi a Milano dove nel giro di qualche anno riuscì a riorganizzare un crimine anacronistico che rivolgeva ancora i suoi interessi in zone periferiche e desolate come la Trecca, Lambrate, il Ticinese (dove il bacino della darsena rappresentava addirittura il quinto porto commerciale d’Italia) fino al Giambellino, in cui la cultura popolare produceva personaggi come “il Cerutti Gino” celebrato in una sua canzone dal celebre Giorgio Gaber. Fu così che prima di morire d’infarto nel 1971, Joe Adonis riuscì ad essere il regista occulto di quel cambio generazionale che portò la Ligera ad essere la Mala, una Mala che necessitava soprattutto di un vertice da scegliere tra una nuova generazione di gangster tra cui spiccava per intelligenza e spietatezza un ragazzone biondo e dalla “faccia d’angelo” che da lì a poco si sarebbe affermato come Francis Turatello.

(fine prima parte)…